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E’ stato pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista “Economia e Politica“, un interessante studio condotto da Giorgio Colacchio, Guglielmo Forges Davanzati, Gianmarco Igino Scardino, Luigino Sergio, Domenico Suppa e Davide Stasi sui limiti dello sviluppo turistico nel Mezzogiorno con un focus particolare sulla provincia di Lecce, più comunemente conosciuta come Salento.

Proprio mentre veniva pubblicato anche il rapporto 2023 dell’Osservatorio Italiano JFC delle Destinazioni Balneari, lo studio che analizza mode, tendenze e previsioni delle vacanze al mare degli italiani, secondo cui si conferma Rimini la regina dell’estate, seguita da altre località della riviera romagnola e venete (del Salento solo Gallipoli compare al terzo posto nella classifica delle località più amate dai giovani), lo studio pugliese rivela e conferma come il turismo salentino, seppur cresciuto notevolmente negli ultimi decenni, rimane significativamente indietro rispetto a buona parte delle località balneari del centro-nord Italia, in particolare proprio quelle romagnole.

L’aspetto più preoccupante non è tanto dato dai flussi quanto dalla mancata reciprocità del dato di crescita del PIL del territorio dato dallo sviluppo locale e PIL turistico. Il primo aiuta il secondo ma il secondo non contribuisce all’incremento del primo. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, infatti, si è messo in evidenza che il turismo non genera crescita e che è semmai lo sviluppo locale a essere un prius rispetto all’aumento degli afflussi. Il settore è anche caratterizzato da stagionalità e retribuzioni molto basse. Il passaggio dalla produzione di tabacco alla monocultura dell’olio al turismo conferma, tuttavia, per questa area la scarsa propensione all’accumulazione di capitale e il suo essere zona periferica nell’ambito dello sviluppo capitalistico globale.

Non vi è dubbio, comunque, che Lecce e il suo territorio hanno accelerato, negli ultimi decenni, una specializzazione produttiva basata sul turismo. Secondo gli ultimi dati rilasciati dal locale Osservatorio Economico Aforisma (2023) si rileva una significativa crescita del numero di imprese nel settore: le attività di alloggio e di ristorazione sono quelle la cui numerosità è maggiormente aumentata: da 4.143 (al 31 dicembre 2009) a 5.838 (al 31 maggio 2023), ovvero 1.695 in più, pari ad un incremento del 41 per cento.

Il turismo però si associa a bassa crescita economica, prevalentemente per le sole occupazioni di bassa qualifica; è caratterizzato da stagionalità e basse retribuzioni; si propone ancora troppo spesso nella forma dell’individualismo imprenditoriale (mancano le reti tra imprese), risente dell’incidenza di flussi turistici non registrati — nella forma di case e appartamenti non censiti dagli enti di controllo — con il connesso aumento dell’occupazione irregolare, delle attività sommerse e del lavoro nero, ecc. — fenomeni questi che hanno accompagnato l’espansione del settore turistico – che ha sicuramente contribuito ad impedire lo sviluppo di un’offerta di servizi a più alto valore aggiunto, contribuendo quindi ad abbassare ulteriormente la produttività del lavoro nel settore turistico.

Inoltre è un turismo guidato dalla cosiddetta “invenzione della tradizione” e, dunque, dalla tesi per la quale la crescita del settore turistico, in quanto connessa con l’uso della Storia locale per fini economici, è indotta dalla
“classe agiata” locale per gestire il controllo sulla comunicazione nel e del territorio. Questa modalità di comunicazione contribuisce a rafforzare la convinzione della unicità del luogo (soprattutto per quanto attiene alle bellezze paesaggistiche) e a ritardare, sotto il profilo culturale, o finanche a rendere impossibile l’attuazione di strategie alternative di sviluppo: ciò spiega la sostanziale persistenza nel tempo di habits orientati alla conservazione dello status quo e comunque funzionali alla riproduzione della classe agiata locale.

Molto quindi c’è da fare per rendere il turismo una fonte di reddito longeva e sicura per il Salento. Si tratta di un’economia giovane, nata in epoca di grandi trasformazioni e che ancora non ha trovato la sua forma più efficiente. Dalla grande recessione del biennio 2008-2009, infatti, ad oggi, molto è cambiato per l’economia salentina. Aumentano le imprese nei settori della ricettività, della ristorazione, del terziario e dei servizi. In costante declino, invece, l’agricoltura e il manifatturiero che ha subìto maggiormente gli effetti dei rincari energetici, nonostante i provvedimenti adottati dal Governo al fine di mitigarne l’impatto sui costi aziendali.

Lo studio prende in esame tutte le imprese attive con sede legale nelle province di Lecce, Brindisi e Taranto e iscritte nelle rispettive camere di commercio (ad eccezione di quelle inattive e di quelle sottoposte a procedure concorsuali).
Nel lungo arco temporale che va dal 2009 ad oggi, il comparto primario ha il peggiore saldo: meno 5.479 attività, pari a una flessione del 17 per cento (dalle 32.131 imprese del 31 dicembre 2009 alle attuali 26.652 del 31 maggio scorso).

Il turismo si aggiudica invece la migliore performance nel lungo termine: le attività di alloggio e ristorazione sono aumentate, infatti, di 3.640 unità, pari a una crescita del 44 per cento (dalle 8.272 del 31 dicembre 2009 alle 11.912 del 31 maggio scorso). Seguono le agenzie di viaggio e di noleggio: +1.556, pari a un incremento del 58 per cento (da 2.661 del 31 dicembre 2009 a 4.217 del 31 maggio scorso).

L’economia salentina, dunque, si sta trasformando con il passare del tempo: ha perso la vocazione agricola e manifatturiera industriale ed artigianale, mentre si è ritagliato maggiore spazio il turismo, composto prevalentemente dalle attività di alloggio e di ristorazione. Negli anni più recenti, come documentato negli ultimi Rapporti di Banca d’Italia (2022; 2023), il Salento – come, del resto, l’intero Mezzogiorno – è stato dentro una dinamica di doppia divergenza: una divergenza fra Sud e Nord del Paese e una divergenza interna al Mezzogiorno, fra aree urbane e aree non urbane. Trattandosi di un territorio con poca urbanizzazione (la città di Lecce conta circa 95mila abitanti), ha vissuto la crescente marginalizzazione delle “aree interne”, che pare caratterizzare l’intero continente europeo.

Per la consultazione dello studio integrale si rimanda alla rivista Economia e Politica >>

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