(di Jessica Sabatelli) Nel 2013, si è tenuta a Palermo, invece la prima udienza del processo sulla Trattativa Stato-Mafia.
Il pool coordinato dal Procuratore Aggiunto ha firmato la richiesta di processo per i dodici imputati dell’inchiesta sulla trattativa stato-mafia, quali Totò Riina, Bernardo Provenzano, Mario Mori, Antonio Subranni, Marcello Dell’Utri e Calogero Mannino, accusati di attentato a un corpo politico; l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino risponde invece per falsa testimonianza, mentre Giovanni Conso, Adalberto Capriotti e Giuseppe Gargani sono accusati di aver dato false informazioni ai pubblici ministeri.
Il 7 novembre 2013 depose il pentito Francesco Onorato, affermando: “Perché Riina accusa sempre lo Stato? Perché è l’unico che sta pagando il conto, mentre lo Stato non sta pagando niente, per questo motivo Riina tira in ballo sempre lo Stato. Ha ragione ad accusare lo Stato, da Violante ad altri. È lo Stato che manovra, prima ci hanno fatto ammazzare Dalla Chiesa i signori Craxi e Andreotti che si sentivano il fiato addosso. Perché Dalla Chiesa non dava fastidio a Cosa Nostra. Poi nel momento in cui l’opinione pubblica è scesa in piazza i politici si sono andati a nascondere. Per questo Riina ha ragione ad accusare lo Stato“.
Il 21 novembre 2013, il pentito Nino Giuffrè affermò: ”Non è che la mafia sale su un carro qualunque. Scegliemmo di appoggiare Forza Italia perché avevamo avuto delle garanzie (…). Nella seconda metà del ’93 è venuto fuori Marcello Dell’Utri che ha dato garanzie per la risoluzione dei problemi di Cosa nostra. A prescindere dal garantismo di Forza Italia, noi li scegliemmo perché ci diedero garanzie (…). Tra la fine del ’93 e l’inizio del ’94 il posto che era stato tenuto da Vito Ciancimino nel rapporto con Cosa nostra fu preso da Marcello Dell’Utri (…). Nel ’93 c’è l’inizio di un nuovo capitolo: si apre un nuovo corso tra Cosa nostra e la Politica. Provenzano all’inizio era un po’ freddo poi, parlando di Dell’Utri e di Forza Italia, mi disse siamo in buone mani”.
Il 12 dicembre 2013, il pentito Giovanni Brusca affermò: “Nel 1991, c’era interesse a contattare Dell’Utri e Berlusconi perché attraverso loro si doveva arrivare a Bettino Craxi, che ancora non era stato colpito da Mani Pulite, perché influisse sull’esito del maxiprocesso (…). La sinistra, a cominciare da Mancino, ma tutto il governo, in quel momento storico, sapeva quello che era avvenuto in Sicilia: gli attentati del ’93, il contatto con Riina. Sapevano tutto. Che la sinistra sapeva lo dissi a Vittorio Mangano. Gli dissi anche: “I Servizi segreti sanno tutto ma non c’entrano niente.” Mangano comprese e con questo bagaglio di conoscenze andò da Dell’Utri”.
Il 27 giugno 2014, il pentito Filippo Malvagna affermò che Marcello D’Agata gli aveva detto: “Dobbiamo dire che si deve votare per Berlusconi, per un nuovo partito che sta per nascere. Perché questo qua sarà la nostra salvezza. (…) D’Agata mi disse inoltre che nel giro di pochi anni avrebbero attenuato il 41 bis e smantellato la legge sui collaboratori di giustizia e che il partito di Berlusconi sarebbe stata la nostra salvezza”.
Il 3 luglio 2014, il pentito Maurizio Avola affermò: “Dovevamo uccidere il magistrato Antonio Di Pietro. C’era stato chiesto durante un incontro, organizzato all’hotel Excelsior di Roma al quale parteciparono Cesare Previti, il finanziere Pacini Battaglia, il boss catanese Eugenio Galea, il luogotenente di Nitto Santapaola Marcello D’Agata, Michelangelo Alfano ed un certo Sariddu che poi scoprì essere Saro Cattafi (o meglio Rosario Pio Cattafi), soggetto in contatto con i Servizi Segreti. L’omicidio era voluto e sollecitato dal gruppo politico-imprenditoriale presente a quella riunione. (…) Il boss Eugenio Galea gli aveva detto: “Stiamo aspettando un segnale forte da Dell’Utri e da Michelangelo Alfano, un grosso massone, che non conosco”.
Il 17 aprile 2015, il pentito Carmelo D’Amico affermò: “Angelino Alfano è stato portato da Cosa nostra che lo ha prima votato ad Agrigento, ma anche dopo. Poi Alfano ha voltato le spalle ai boss facendo leggi come il 41 bis e sulla confisca dei beni. (…) Cosa nostra ha votato anche Schifani, poi hanno voltato le spalle, e la mafia non ha votato più Forza Italia. (…) I boss votavano tutti Forza Italia, perché Berlusconi era una pedina di Dell’Utri, Riina, Provenzano e dei Servizi Segreti. Forza Italia è nata perché l’hanno voluta loro. (…) All’epoca i politici hanno fatto accordi con Cosa nostra, poi quando hanno visto che tutti i collaboratori di giustizia che sapevano non hanno parlato, si sono messi contro Cosa nostra, facendo leggi speciali, dicendo che volevano distruggere la mafia. (…) D’Amico racconta inoltre che a Barcellona Pozzo di Gotto era presente una loggia massonica: ne facevano parte uomini d’onore, avvocati e politici, e la comandava il senatore Domenico Nania e a questa apparteneva anche Dell’Utri. (…) Nino Rotolo mi raccontò che i servizi avevano fatto sparire dal covo di Riina un codice di comunicazione per mettersi in contatto con politici e gli stessi agenti dei servizi. (…) Mi disse anche che Provenzano era protetto dal ROS e dai Servizi e non si è mai spostato da Palermo, tranne quando andò ad operarsi di tumore alla prostata in Francia. (…) Rotolo ne parlava con Vincenzo Galatolo: all’inizio non lo chiamavano per nome, ma lo definivano cane randagio, poi io chiesi di chi parlavano e mi risposero che si trattava di Di Matteo, e che aspettavano da un momento all’altro la notizia dell’attentato. (…) Era stabilito che il dottor Di Matteo doveva morire e sempre Rotolo mi ha raccontato che i servizi segreti volevano morto prima il dottor Antonio Ingroia, poi Di Matteo. E siccome Provenzano non voleva più le bombe, dovevamo morire con un agguato. (…) A volere la morte di Di Matteo erano sia Cosa Nostra che i Servizi perché stava arrivando a svelare i rapporti dei Servizi come fece a suo tempo il dottor Falcone. (…) Io dovevo uscire da lì a poco dal carcere e si parlava di delegare me per portare avanti questa cosa. (…) A proposito dei servizi segreti afferma: arrivano dappertutto ed è per questo che altri pentiti come Brusca e Giuffré non raccontano tutto quello che sanno sui mandanti esterni delle stragi. (…) I servizi organizzano anche finti suicidi in carcere: per questo voglio chiarire che io godo di ottima salute e non ho nessuna intenzione di suicidarmi”.
Il 7 maggio 2015, il boss pentito Vito Galatolo affermò: “Quando sapemmo che l’artificiere che doveva partecipare all’attentato al PM Di Matteo non era di Cosa Nostra, capimmo che dietro al piano c’erano soggetti estranei alla mafia, apparati dello Stato, come nelle stragi del ’92. Matteo Messina Denaro ci rassicurò scrivendoci che comunque avevamo le giuste coperture. (…) Cosa Nostra quantificò in 500 mila euro la somma necessaria per mettere in atto l’attentato nei confronti del Pm Di Matteo. La fase operativa era giunta, tra dicembre 2012 e i primi del 2013, ad uno stadio molto avanzato. Biondino aveva comprato il tritolo tramite i calabresi. Io l’ho visto personalmente, in due fusti. (…) Di Matteo si stava intromettendo in un processo che non doveva neanche iniziare, quello sui rapporti tra Stato e mafia. E si doveva fermare perché non doveva scoprire certe situazioni.”, “C’era un via-vai di agenti dei Servizi segreti nelle carceri per avere contatti con capimafia al 41-bis. Uno che ci parlava spesso era Nino Cinà”.
Il 25 giugno 2015, infine, l’ambasciatore e diplomatico italiano Francesco Paolo Fulci, ex Presidente del CESIS, ha rivelato poi che le telefonate rivolte all’ANSA in cui l’organizzazione terroristica “Falange Armata” rivendicava omicidi e stragi durante gli anni novanta provenivano tutte dalle sedi dell’allora SISMI, i servizi segreti italiani.
Che sia la prova definitiva della collusione tra Stato e Mafia, ben oltre gli accordi del 1992?


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