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di Giovanni Reho, Gianluca Cassarà – Il presente contributo si propone di analizzare l’ambito applicativo dell’art. 72 della legge fallimentare, disposizione che attribuisce al curatore la facoltà di sciogliersi dai contratti non ancora eseguiti al momento della dichiarazione di fallimento. La portata di tale norma è oggetto di contrastanti interpretazioni giurisprudenziali, in particolare con riferimento alla trascrizione della domanda giudiziale di esecuzione specifica del contratto preliminare, ai sensi dell’art. 2932 c.c., antecedente alla dichiarazione di fallimento della società promittente venditrice.

Sul punto, la Corte di Cassazione ha formulato due distinti orientamenti:

–          il primo, espresso dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 18131/2015;

–          il secondo, successivo, contenuto nell’ordinanza n. 12642/2020.

Secondo quest’ultima pronuncia, la trascrizione della domanda giudiziale non impedisce lo scioglimento del contratto da parte del curatore, salvo che, dopo tale trascrizione, intervenga una sentenza che imponga il trasferimento del bene in favore del promissario acquirente. La Suprema Corte evidenzia come il contratto preliminare abbia natura obbligatoria e che tale natura non muti per effetto della semplice trascrizione della domanda ex art. 2932 c.c., la quale non è sufficiente a cristallizzare un diritto opponibile alla massa fallimentare. Neppure il pagamento del prezzo o l’immissione nel possesso da parte del promissario acquistano rilevanza ai fini della opponibilità. Solo la sentenza costitutiva che accolga la domanda ex art. 2932 rende inefficace lo scioglimento ex art. 72 l. fall., determinando l’effetto traslativo.

Di diverso avviso è la pronuncia delle Sezioni Unite del 2015, che esamina la legittimità dello scioglimento anche alla luce degli artt. 44 e 45 della legge fallimentare. Tali disposizioni sanciscono rispettivamente:

–           l’inopponibilità alla massa dei pagamenti effettuati e degli atti compiuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento (art. 44);

–           l’inefficacia delle formalità eseguite successivamente alla dichiarazione di fallimento (art. 45).

Le Sezioni Unite precisano tuttavia che l’opponibilità alla massa non riguarda solo gli atti e le formalità anteriori al fallimento, ma si estende anche alle domande giudiziali precedenti la dichiarazione, i cui effetti sono poi sanciti da una sentenza successiva. A conferma di tale impostazione, si richiama l’art. 2652, n. 2, c.c., secondo cui la trascrizione della sentenza che accolga la domanda di esecuzione in forma specifica prevale su trascrizioni e iscrizioni eseguite successivamente alla trascrizione della domanda stessa.

Tale lettura trova ulteriore coerenza sistematica negli artt. 16, comma 5, e 17 della legge fallimentare, che attribuiscono effetti verso i terzi alla sentenza dichiarativa di fallimento solo a partire dalla sua iscrizione nel registro delle imprese. Ciò conferisce alla pubblicità una funzione dichiarativa, in linea con la riforma del 2006.

Ne consegue che la domanda giudiziale ex art. 2932 c.c., trascritta prima della dichiarazione di fallimento e, soprattutto, prima della sua iscrizione, non è soggetta agli effetti preclusivi degli artt. 44 e 45 L. Fall. Una diversa conclusione — ovvero l’opponibilità solo alle formalità anteriori alla dichiarazione, senza considerare l’iscrizione — risulterebbe incoerente con la ratio dell’intero impianto normativo e con i principi di tutela del contraddittorio e dell’effettività della tutela giurisdizionale.

L’orientamento più recente, secondo il quale la trascrizione della domanda non precluderebbe al curatore lo scioglimento del contratto, potrebbe derivare da una lettura riduttiva del contratto preliminare, considerato come mero obbligo di contrarre privo di effetti sostanziali sino alla pronuncia giudiziale. Tuttavia, tale posizione trascura che l’art. 2932 c.c. trova applicazione proprio perché le parti hanno già assunto obblighi giuridicamente vincolanti, e mira a rimuovere l’inadempimento della parte promittente, assicurando il rispetto degli impegni assunti.

Pertanto, l’esecuzione dell’obbligo assunto con il contratto preliminare in sede fallimentare non si pone in contrasto con la par condicio creditorum, ma rappresenta una conseguenza della natura e della funzione del contratto stesso. Diversamente opinando, si finirebbe per svuotare di significato l’istituto del contratto preliminare e la tutela prevista dall’art. 2932 c.c.

In ulteriore supporto a questa interpretazione si possono richiamare considerazioni di carattere sistematico e costituzionale. Il principio sotteso alla pronuncia delle Sezioni Unite è coerente con l’esigenza di garantire effettività alla tutela giurisdizionale e certezza del diritto, evitando che il tempo del processo si traduca in una penalizzazione per la parte diligente. Ciò è in linea, tra l’altro, con l’art. 111 Cost., che assicura la ragionevole durata del processo e la tutela effettiva dei diritti e con l’art. 6 CEDU, che impone garanzie analoghe in ambito sovranazionale.

Alla luce di quanto esposto, non appare superato l’orientamento delle Sezioni Unite del 2015, che resta il più coerente con l’impianto codicistico, con i principi costituzionali e convenzionali, e con una lettura sistematica della disciplina fallimentare.

Giovanni Reho, Gianluca Cassarà, rehoandpartners

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