di: Daniela D’Angelo

Bastano poco più di novanta pagine a Peppe Millanta per farci conoscere il favoloso mondo delle nuvole (La rotta delle nuvole, Ediciclo editore, 2020), e a noi lettori bastano appena poche righe per sentirci già rapiti e pronti al viaggio. La rotta delle nuvole è quella che vorremmo seguire, che vorremmo tenere bene in mente non soltanto quando il nostro sguardo è rivolto al cielo. Ci piacerebbe infatti d’ora in poi ispirarci al viaggio che fanno le nuvole e rispecchiarci in esso, anzi di più: ci piacerebbe farlo profondamente nostro, una regola di vita. È un viaggio che a ben vedere conosciamo, lo abbiamo evocato, sentendolo crescere dentro di noi, ogni volta che abbiamo osservato la natura. E ogni volta la natura ci ha suggerito la strada, il modo. Il grande insegnamento delle nuvole è il mutamento, possiamo vederle cambiare forma sopra la nostra testa e spostarsi sospinte da un alito verso un altrove impossibile da immaginare. Tutto accade in un istante. E anche noi che le guardiamo, un attimo dopo non siamo più gli stessi. Accogliere questa vocazione al mutamento, sentire di farne parte e di essere noi stessi mutamento, è l’unica promessa che ci fa esistere anche nell’istante successivo, l’unico canto alla durata. Forse.

DDA: Siamo in piena pandemia, tutti in quarantena, non possiamo uscire per decreto governativo. Una cosa che possiamo fare però è fissare le nuvole fuori dalle nostre finestre. Tu le hai guardate in questi giorni? Cosa dicono oggi le nuvole ai sognatori?

PM: Sì, le ho guardate, anche se purtroppo non in spazi aperti a causa della quarantena. Ne ho osservato spicchi passeggeri fare avanti e indietro fuori dalla finestra. Anche in questo periodo le nuvole onorano il loro compito, strizzando l’occhio al nostro fantasticare con il loro costante invito al gioco. Sono una mano tesa per tutti coloro che continuano ostinati a sognare, e ci incitano a non mollare. Il prossimo sogno è solo dietro la prossima curva.

DDA: Le nuvole non hanno forma fissa, ogni volta per indicarle dobbiamo riferirci ad altro. Possiamo dire che sono una metafora della metafora?

PM: Si tratta di un divertissement che ho inserito all’interno del libro. Se dovessi spiegare cos’è una metafora a un bambino credo che utilizzerei le nuvole. In fondo, non hanno forma fissa e ogni volta per indicarle dobbiamo riferirci a qualcos’altro. Vivono di rimandi continui, ai nostri occhi, e sono inesprimibili. E la metafora credo sia una delle forme più fortunate con cui l’uomo si è raffrontato all’inesprimibile. Ogni volta che siamo di fronte a qualcosa di sconosciuto, per farlo nostro, lo adattiamo a quanto già conosciamo, soprattutto verbalmente. Cerchiamo il conosciuto nello sconosciuto. È il modo che abbiamo per fare nostre le cose, e la metafora in questo ci aiuta. Basti pensare a metafore morte come “collo di bottiglia”, che ormai sono di uso comune.

DDA: Creare un nome per tutte le cose, nominare le cose, ci permette di significarle, di conoscerle e – quando è il caso – di difenderci da esse. Questa è la capacità creativa dell’uomo (una capacità poetica se si pensa alla etimologia greca della parola poesia, che vuol dire produrre, fare, creare). La parola nuvola, dal latino, significa coprire, le nuvole sono ciò che coprono il cielo, praticamente è un non-nome. Il cortocircuito, se vuoi, è affascinante…le nuvole per noi sono destinate ad essere inafferrabili?

PM: Sicuramente lo sono state per lungo tempo. Forse troppo. Come dicevi tu, basta guardare al loro nome. Il primo che è riuscito a dare loro una classificazione semplice e sistemica è stato Luke Howard, ed eravamo già nella prima metà dell’800. Continuano ad avere qualcosa di scivoloso, ipnotico. È il loro mistero. È ciò che ci attrae. Credo che continueranno ad essere sempre inafferrabili, perché l’uomo ha ormai imparato che quando ha bisogno di meraviglia basta alzare il naso all’insù.

DDA: Di chi è sovrappensiero o dotato di parecchia fantasia si dice che ha la testa fra le nuvole. Nel tuo libro dici che la fantasia salva dal buio. In che modo la fantasia ci può venire in soccorso in un momento come quello che stiamo vivendo?

PM: La fantasia crea nuovi mondi. È la medicina migliore alla claustrofobia dei pensieri. Con la fantasia abbiamo da sempre superato confini assai più duri e invalicabili di quelli che stiamo vivendo adesso. Grazie a lei abbiamo sbirciato al di là del mare, delle stelle, sottoterra. La fantasia in questo momento è salvifica perché permette sempre una alternativa a quello che ci accade. Coltivarla significa avere in tasca sempre un piano b pronto. E spesso avere un piano b significa salvezza. E non credo sia poco.

DDA: Se guardiamo il mondo dalla prospettiva delle nuvole, anche il nostro affanno, tutto, ci sembra ridimensionabile questo trucco per sfuggire al dolore non rischia di farci inciampare in un atteggiamento fatalista o nichilista?

PM: Non credo. O per lo meno lo spero. A mio modestissimo parere avere una visione d’insieme può aiutare anche a combattere la perdita di senso, perché può farci sentire ingranaggi di un meraviglioso meccanismo complesso, sterminato, in cui ogni cosa è in sinergia con tutto il resto. Tanti pezzi dello stesso puzzle. Di fronte al dolore che hai citato tu, ad esempio, è sicuramente giusto avere innanzitutto un approccio personale, con l’Io al centro. Serve per metabolizzarlo, per viverlo, per non allontanarlo e per farlo nostro. Ma credo che questo sia solo uno dei punti di vista con cui guardare a ciò che ci accade. Anche il punto di vista “delle nuvole”, può aiutarci a collocare quel dolore, a dargli un ordine in mezzo a tutto il resto. E dare un ordine al dolore vuol dire dargli un senso. Ed è un bel regalo che possiamo farci.

Titolo: La rotta delle nuvole – Piccole bussole per sognatori testardi

Autore: Peppe Millanta

Editore: Ediciclo editore

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