di Salvatore Primiceri – Nel dialogo Eutifrone, Platone ci presenta una conversazione emblematica tra Socrate e il sacerdote Eutifrone, dove si interroga la natura della santità (ὁσιότης) in un contesto che solleva profonde questioni morali. La vicenda si svolge fuori dal tribunale di Atene, dove Socrate è accusato di empietà, e inizia a discutere con Eutifrone, che, inaspettatamente, ha deciso di denunciare il proprio padre per omicidio colposo. Questo incontro offre a Platone l’occasione di far emergere, attraverso le domande socratiche, le contraddizioni interne alle convinzioni di Eutifrone sul significato della santità e sul rapporto tra uomo e divino.
Il dialogo si sviluppa come un’indagine critica sulle definizioni di santità che Eutifrone propone e che Socrate, pazientemente, smonta e mette in discussione. Dalla prima interpretazione, in cui Eutifrone identifica la santità con il punire chi ha compiuto un male, fino alla più elaborata nozione secondo cui la santità è ciò che è amato da tutti gli dèi, Socrate evidenzia le ambiguità di ciascuna definizione, conducendo il dialogo verso una riflessione cruciale: la santità è amata dagli dèi perché è santa, o è santa perché è amata dagli dèi? Questo quesito, noto come Dilemma di Eutifrone, apre uno spazio di riflessione sulla natura della moralità che risuona ancora oggi, spostando il tema della santità dal piano della semplice approvazione divina a un livello di principio etico universale e oggettivo.
Il dilemma posto da Socrate rappresenta un punto fondamentale della riflessione morale: se la santità è tale solo perché approvata dagli dèi, allora la moralità appare relativa, soggetta alla variabilità delle volontà divine o delle credenze sociali. Al contrario, se gli dèi amano ciò che è santo perché esso è intrinsecamente tale, allora esiste un principio universale che trascende la semplice approvazione divina. La santità, in questo secondo caso, è un valore assoluto, un’etica naturale, valida per ogni uomo, e che risulta “giusta” e “buona” in sé, indipendentemente dalle circostanze storiche o culturali.
Questa distinzione mette in luce un tema di grande rilevanza filosofica: l’idea che la moralità non possa basarsi su criteri relativi o soggettivi, ma che debba fondarsi su principi che sono intrinsecamente buoni e riconoscibili attraverso la ragione. Secondo questa visione, l’uomo è dotato di una capacità naturale, un buonsenso morale, che gli permette di discernere ciò che è giusto da ciò che è ingiusto, ciò che è bene da ciò che è male. Come emerge in altri dialoghi platonici, questa capacità non è solo innata, ma deve essere coltivata attraverso la ricerca, la conoscenza e l’esperienza, poiché l’individuo cresce e si sviluppa in un contesto che può influenzare il suo giudizio. La società, le leggi e le credenze religiose svolgono un ruolo rilevante, ma, come Socrate stesso sottolinea, l’aderenza cieca a tali convinzioni non garantisce la verità morale.
Proprio perché la moralità si fonda su un principio di bontà intrinseca, la ricerca dei principi etici universali deve partire da un riconoscimento della capacità umana di individuare ciò che è santità in sé, a prescindere da imposizioni religiose o culturali. Il buonsenso, inteso qui come una forma di ragionevolezza morale, agisce come guida, permettendo di valutare criticamente le credenze e di riconoscere ciò che è intrinsecamente buono. Come dimostrato dalla confutazione socratica delle affermazioni di Eutifrone, l’autentica comprensione della santità non può derivare dalla semplice convinzione o dalla volontà divina percepita, ma richiede una riflessione approfondita che metta in discussione le basi stesse delle nostre credenze.
L’essere umano, come suggerisci, nasce dotato di una bontà naturale, di un senso morale che lo orienta verso il bene e che è uguale per tutti, pur essendo suscettibile alle influenze esterne. Tuttavia, la ricerca della verità richiede la capacità di esaminare criticamente tali influenze, distinguendo tra ciò che è bene per convenienza e ciò che è bene in senso assoluto. Come Socrate dimostra nel dialogo, anche il credere che Dio approvi una determinata azione deve essere oggetto di analisi e riflessione. La morale, quindi, non può limitarsi a seguire prescrizioni divine o sociali senza una verifica razionale: la santità, se è tale, deve essere un principio universale che il buonsenso ci permette di riconoscere e praticare.
L’Eutifrone, pur non offrendo una risposta definitiva, ci invita a intraprendere una ricerca continua per comprendere la natura della santità e della moralità. Il dialogo suggerisce che la santità non si esaurisce nel rispettare leggi religiose o morali imposte, ma si fonda su principi etici intrinseci che l’uomo, con il giusto esercizio del proprio buonsenso, può individuare e praticare. In questo senso, l’Eutifrone ci insegna che la ricerca del bene e del giusto è un compito universale, che richiede uno sforzo personale e razionale per discernere ciò che è intrinsecamente giusto, al di là delle convenzioni sociali e delle credenze religiose. Così, la santità emerge come un valore universale, un’aspirazione alla bontà che è naturale nell’uomo e che, solo attraverso la conoscenza e la riflessione, si realizza pienamente.
Salvatore Primiceri
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