di Salvatore Primiceri – Nel panorama della filosofia etica, Socrate emerge come una figura centrale, non solo per la sua ricerca di una norma costante nel giudizio morale, ma per la sua capacità di elevare questa indagine dal piano empirico a quello teoretico. La questione del “bene” e della sua determinazione teorica, così complessa e difficile da definire, è al cuore del pensiero socratico e, più in generale, del dibattito filosofico che ha attraversato l’etica occidentale.
L’origine della ricerca etica: tra Sofisti e Socrate
Come sottolineato in un mio precedente articolo, la ricerca etica di Socrate si sviluppa in un contesto sociale e intellettuale dominato dai Sofisti, che, nonostante la vivacità della loro riflessione, non riescono a produrre una dottrina duratura. Mentre i Sofisti si concentrano sui “beni” come realtà molteplici e concrete, Socrate si dedica a isolare il concetto generale di “bene”, cercando di dare forma a un predicato etico che sia costante, astratto e applicabile in tutte le circostanze della vita morale.
Socrate si distanzia dai Sofisti proprio perché rifiuta di ridurre l’etica a una mera questione di utilità o di convenienza sociale. La sua ricerca, benché non sistematica nel senso moderno del termine, rappresenta un passaggio fondamentale nella storia dell’etica, poiché introduce un’analisi teoretica dei giudizi morali, cercando di stabilire un criterio universale per distinguere il bene dal male.
Il bene come oggetto della conoscenza: tra teoria e prassi
Uno dei principali ostacoli nell’elaborazione teorica del concetto di “bene” è la difficoltà di isolare un giudizio morale dalla sua applicazione pratica. Per comprendere e definire il bene, non è sufficiente un’analisi teorica che lo consideri un dato astratto e chiaro alla coscienza. È necessario che il bene venga appreso e voluto nelle reali condizioni della vita quotidiana, poiché è solo attraverso l’esperienza pratica che può essere elevato a concetto astratto.
L’etica, per Socrate, non può quindi essere separata dalla coscienza morale. Il giudizio etico non si limita alla speculazione teorica, ma implica sempre una componente pratica, un agire consapevole che riflette e conferma i valori appresi. In questo senso, l’etica di Socrate non è mai puramente speculativa: ogni definizione del bene deve essere verificata e applicata nel contesto della vita reale.
Il metodo socratico: dalla definizione al dialogo
Il metodo con cui Socrate affronta l’etica è fondamentale per comprendere il suo approccio al concetto di bene. La sua famosa pratica dialogica, che non si risolve mai in una teoria definitiva, rivela l’idea che la verità etica non sia un dato fisso, ma il risultato di un continuo processo di ricerca e rettificazione. La definizione del bene, secondo Socrate, non è altro che il punto di partenza per una riflessione più ampia, che mira a correggere e affinare le nozioni comuni attraverso il dialogo.
Questa ricerca si pone a metà strada tra la riflessione morale comune e l’indagine sistematica. Socrate non ha l’ambizione di costruire una scienza etica nel senso moderno del termine, ma intende isolare i concetti etici fondamentali, come il bene e la virtù, e renderli oggetto di una discussione razionale. In questo processo, il dialogo assume un valore epistemologico cruciale, poiché è lo strumento che permette di chiarire e definire i concetti morali in modo più preciso.
Il bene come conoscenza: il paradosso socratico
Un aspetto centrale dell’etica socratica è il famoso paradosso secondo cui chi conosce il bene non può che volerlo. Questa affermazione, che potrebbe apparire ingenua o addirittura errata alla luce delle riflessioni successive sulla natura umana, riflette tuttavia la convinzione di Socrate che il bene sia intrinsecamente legato alla conoscenza. Conoscere il bene significa comprenderlo nella sua essenza e riconoscerlo come tale, e ciò, secondo Socrate, comporta necessariamente l’adesione morale.
Questo punto è strettamente collegato alla visione socratica della eudaimonia (felicità o benessere): l’uomo, essendo naturalmente orientato verso il proprio benessere, non può non desiderare il bene quando lo conosce. Il male, quindi, non è mai un’azione deliberata, ma il frutto dell’ignoranza. In questo senso, l’etica di Socrate si presenta come una forma di educazione morale, volta a portare l’individuo alla conoscenza del bene, e quindi all’agire corretto.
L’eredità socratica nell’etica
Sebbene Socrate non abbia lasciato una teoria sistematica, la sua eredità nell’ambito dell’etica è stata fondamentale per lo sviluppo del pensiero filosofico occidentale. La sua insistenza sulla necessità di una riflessione razionale sui giudizi morali, la sua pratica dialogica e la sua convinzione che il bene sia conoscenza hanno gettato le basi per lo sviluppo successivo della filosofia morale.
L’etica socratica, pur radicata nelle esigenze pratiche della vita, non rinuncia mai alla ricerca della verità attraverso la ragione. In questo senso, Socrate segna un passaggio decisivo dall’etica tradizionale, basata su norme sociali e religiose, a un’etica fondata sulla conoscenza e sulla riflessione personale. La sua ricerca del bene rimane un punto di riferimento per ogni indagine etica successiva, in quanto rappresenta il tentativo di stabilire un criterio universale e razionale per il giudizio morale.
Socrate, il concetto di bene e il buonsenso
Una riflessione interessante nell’analisi del concetto di bene in Socrate è il possibile collegamento con il buonsenso. Per buonsenso si intende comunemente la capacità naturale, innata, dell’essere umano di distinguere il buono dal cattivo e il giusto dall’ingiusto nelle situazioni quotidiane. Tuttavia, in che modo questa intuizione apparentemente spontanea si concilia con la visione socratica del bene come conoscenza?
Per Socrate, conoscere il bene è essenziale per agire correttamente: l’uomo non può volere il male se conosce il bene, e il male è frutto di ignoranza. Questa visione pone il bene non tanto come un’intuizione innata, ma come il risultato di una ricerca razionale e cosciente. Di conseguenza, possiamo domandarci: il buonsenso, come capacità innata di giudicare, è davvero sufficiente per giungere alla conoscenza del bene? Oppure è più corretto considerarlo una semplice attitudine, che richiede una coltivazione attraverso il dialogo e la riflessione filosofica, proprio come proponeva Socrate?
Il buonsenso come attitudine e la ricerca della conoscenza
Se il buonsenso viene inteso come una capacità innata e universale, esso sembrerebbe in contrasto con la visione socratica del bene, che non può essere conosciuto senza un processo di indagine e rettificazione. Tuttavia, possiamo anche considerare il buonsenso non come una qualità già completamente formata, ma come una predisposizione naturale che, attraverso l’educazione e l’esercizio costante della ragione, può evolversi fino a divenire una conoscenza vera e propria. In questo senso, il buonsenso non sarebbe un sostituto della conoscenza filosofica, ma piuttosto un punto di partenza, un’intuizione primitiva che, attraverso l’indagine e il dialogo socratico, si trasforma in sapere.
Possiamo quindi vedere il buonsenso come una attitudine alla ricerca: una disposizione naturale che spinge l’essere umano a distinguere il giusto dallo sbagliato, ma che necessita di una continua riflessione per diventare effettiva conoscenza. Questo riconduce a una delle idee centrali del pensiero socratico: il bene non è un dato immediato o istintivo, ma un obiettivo da perseguire attraverso un processo di autoesame e confronto con gli altri.
La teoria della reminiscenza e il ruolo del buonsenso
Un ulteriore spunto di riflessione può essere fornito dalla teoria della reminiscenza di Platone, il quale, nel suo dialogo “Menone“, propone che la conoscenza sia in realtà una forma di ricordo di ciò che l’anima ha appreso prima di incarnarsi nel corpo. Se colleghiamo questa teoria con il concetto di buonsenso, potremmo immaginare che il buonsenso agisca come un vettore, un ponte che collega il mondo delle idee al mondo sensibile e alla vita quotidiana.
In questa prospettiva, il buonsenso non sarebbe altro che l’eco della conoscenza che l’anima già possiede, ma che necessita di essere riscoperta attraverso il dialogo filosofico. Il buonsenso, quindi, potrebbe essere considerato come una forma preliminare di conoscenza: non il risultato di un processo razionale completo, ma un’intuizione che guida l’uomo verso il riconoscimento del vero bene. In altre parole, il buonsenso potrebbe essere il segno di una verità più profonda che l’uomo porta dentro di sé, e che la riflessione filosofica socratica contribuisce a svelare.
Tuttavia, è importante sottolineare che, per Socrate, il processo di conoscenza non può fermarsi all’intuizione o al buonsenso. Il sapere socratico richiede un lavoro più approfondito di indagine razionale e di dialogo critico. Il buonsenso, da solo, potrebbe sembrare sufficiente per orientare i giudizi morali, ma può essere fuorviato quando viene sostituito dal senso comune. Il senso comune, infatti, apre le porte al relativismo morale, poiché si basa spesso su abitudini culturali o credenze popolari che, a causa del loro esercizio costante, possono essere erroneamente scambiate per buone e giuste. È quando il vero buonsenso viene perso di vista e sostituito da queste consuetudini sociali che il rischio di giudizi morali errati aumenta. Solo il buonsenso, ancorato a una ricerca critica e razionale, può evitare tali deviazioni e condurre alla conoscenza autentica del bene.
Buonsenso e conoscenza del bene
In conclusione, il concetto di buonsenso potrebbe essere visto come una forma preliminare di conoscenza morale che, se coltivata e affinata attraverso la riflessione e il dialogo, può portare a una comprensione più profonda del bene, in linea con l’etica socratica. Tuttavia, senza questa ricerca razionale, il buonsenso rimane incompleto, incapace di offrire una definizione costante e universale del bene.
Il buonsenso, dunque, non deve essere considerato una verità innata e autosufficiente, ma un’attitudine naturale che, con l’esercizio del dialogo socratico, può condurre alla piena conoscenza del bene. Questa riflessione ci porta anche a considerare la connessione con la teoria platonica della reminiscenza, dove il buonsenso potrebbe essere il riflesso di un sapere innato, che tuttavia necessita di essere riconosciuto e riscoperto attraverso la filosofia.
Salvatore Primiceri
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