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di Giovanni Reho e Laura Summo – L’ordinanza della Corte di Cassazione Civile, Sez. II, 4 marzo 2022 n. 7178 affronta con chiarezza un tema attuale, sul quale le Sezioni Unite hanno avuto recente occasione di esprimersi: il rapporto tra i trasferimenti immobiliari nei procedimenti di separazione e divorzio e l’azione revocatoria prevista dall’art. 2901 c.c.

L’intervento delle Sezioni Unite del 29.07.2021 n. 21761 è di grande importanza, perché conferma, dopo vari contrasti giurisprudenziali, la possibilità per i coniugi – nell’ambito dei menzionati contesti – di compiere atti di disposizione patrimoniale in favore dei figli e/o dell’altro coniuge anche mediante trasferimenti immobiliari. L’indicata pronuncia è altresì significativa per avere nuovamente valorizzato le intese e gli accordi tra coniugi in quanto espressione della libera autonomia negoziale.

Più incerte risultano le questioni relative alla natura giuridica dell’accordo che contempli un atto dispositivo immobiliare e quella della sua eventuale soggezione all’actio revocatoria di cui all’art. 2901 c.c.[1].

Come confermato in dottrina e giurisprudenza, gli accordi in esame rispondono alla necessità dei coniugi di comporre in modo definitivo ogni loro controversia nell’ambito del giudizio separativo o di divorzio. In tale senso, il trasferimento immobiliare oggetto dell’accordo dovrebbe sfuggire alla connotazione classica dell’atto di donazione vero e proprio. Si tratta infatti di atti dispositivi dotati di una “tipicità propria” la cui causa si radica nel regolamento negoziale che le parti stabiliscono tra loro al fine di disciplinare e/o regolare i rispettivi interessi, diritti e/o rapporti patrimoniale ed economici. Nel rispetto di tale qualificazione socialmente tipica del rapporto, anche il mantenimento in favore della prole può essere adempiuto con l’attribuzione definitiva di uno e/o più beni immobili.

E’ evidente che la “tipicità” dei descritti accordi negoziali è profondamente diversa da quella che caratterizza la disposizione liberale e donativa in senso proprio, assolvendo infatti ad una funzione solutorio-compensativa nell’ambito del coacervo dei rapporti patrimoniali che i coniugi, al momento della separazione personale o del divorzio, intendono definire, potendo peraltro ravvisarsi anche una funzione novativa dei preesistenti obblighi, atteso che il trasferimento immobiliare definisce in modo novativo le rispettive posizioni giuridiche (anche creditorie di un coniuge verso l’altro) e ogni correlato rapporto patrimoniale da esse discendente.

In proposito, le Sezioni Unite hanno affermato che la tipicità degli accordi che hanno ad oggetto il trasferimento di beni mobili o beni immobili nell’ambito della separazione e/o divorzio al coniuge o alla prole, possono “colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della gratuità, in ragione dell’eventuale ricorrenza, o meno, nel concreto, dei connotati di una sistemazione solutorio-compensativa più ampia e complessiva, di tutta quella serie di possibili rapporti aventi significati, anche solo riflessi, patrimoniali maturati nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale”.

Ne consegue che, in presenza dei contenuti solutori-compensativi indicati dalle Sezioni Unite, l’atto dispositivo immobiliare assume una chiara valenza onerosa, non revocabile in applicazione dell’art. 2901 c.c.

Secondo il citato orientamento, sarà compito del Giudice del merito accertare case by case l’onerosità o la gratuità del trasferimento e, quindi, se la disposizione inserita nell’accordo abbia avuto una reale finalità solutorio-compensativa.

Nella stessa direzione si era peraltro già pronunciata la Suprema Corte  affermando che “ai fini dell’applicazione della disciplina di cui all’art. 2901 c.c., per stabilire se il trasferimento immobiliare posto in essere da un coniuge in favore dell’altro in esecuzione degli accordi intervenuti in sede di separazione consensuale costituisca atto solutorio dell’obbligo di mantenimento, assume rilevanza la disparità economica tra i coniugi, la quale deve essere dedotta non solo dalla valutazione dei redditi, ma da ogni altro elemento di carattere economico, o suscettibile di apprezzamento economico, idoneo ad incidere sulle condizioni delle parti” (Cass. Civ. Sez. III, 4 luglio 2019, n. 17908).

L’ordinanza in commento (Cassazione Civile, Sez. II, 4 marzo 2022 n. 7178), si esprime invece in termini meno elastici, affermando che l’accordo intervenuto in sede di separazione consensuale con il quale un coniuge trasferisce la proprietà di immobile in favore della prole è suscettibile di revocatoria ogni qualvolta sia assunto in costanza dell’esposizione debitoria nei confronti di un terzo debitore (si veda in proposito Cass., 6.10.2020 n. 21358).

In questo caso, non è di ostacolo alla revocatoria l’omologazione dell’accordo ovvero la circostanza che l’atto abbia avuto una funzione solutoria dell’obbligo di mantenimento del coniuge economicamente più debole o di contribuzione al mantenimento dei figli, anche se detto obbligo derivi la sua natura da una fonte pacificamente legale.

In altri termini, in tutti i casi in cui la libera determinazione negoziale del coniuge in funzione solutoria di un obbligo di mantenimento si contrappone alla coesistente esposizione debitoria nei confronti di un terzo creditore, l’atto sarà revocabile in quanto “l’accordo separativo costituisce esso stesso parte dell’operazione revocabile e non già fonte di obbligo idoneo a giustificare l’applicazione dell’art. 2901 comma 3 c.c.[2]”.

Il recente orientamento della Corte di Cassazione può essere condiviso ogni volta in cui l’atto dispositivo immobiliare è diretto a compromettere le ragioni di credito in assenza di una reale sistemazione solutorio-compensativa dei rapporti patrimoniali nel corso del matrimonio.

Diverso è invece il caso in cui l’onerosità dell’atto si giustifichi in ragione del diritto all’assegno divorzile o del diritto al mantenimento del coniuge o della prole. La fonte legale di tale obbligo discende da doveri di solidarietà rilevanti anche sul piano costituzionale che possono avere avuto origine e progressiva affermazione nel corso della vita matrimoniale cui corrispondono diritti anche risalenti e consolidati, rispetto ai quali la crisi coniugale rileva solo ai fini della loro esigibilità. In alcuni casi, peraltro, le correlate obbligazioni possono risultare “scadute” nel senso proprio previsto dall’art. 2901, terzo comma, c.c.

È evidente che il tema ha una sua intrinseca complessità anche in relazione alle disposizioni di cui all’art. 2901 c.c., primo comma n. 1 e n. 2. Giova tuttavia la possibilità, affermata da ultimo dalle Sezioni Unite, di procedere all’analisi del caso concreto evitando chiusure pregiudiziali quando la fonte dell’obbligazione coniugale, sorta nell’ambito dei pregressi rapporti matrimoniali, è comprovata in termini di assoluta oggettività.

[1] Ex multis, Cass. n. 4306/1997; Cass., 23.03.2004, n. 5741; Cass., 26/07/2005, n. 15603; Cass., 14.03.2006, n. 5473; Cass., 12.04.2006 n. 8516; Cass., n. 27409/2017; Cass. n. 10443/2019

[2] Non è soggetto a revoca – ex art. 2901, comma 3, c.c. – l’adempimento di un debito scaduto, in quanto atto dovuto della prestazione del debitore una volta che si siano verificati gli effetti della mora. L’esenzione deve essere estesa anche all’alienazione di un bene eseguita per reperire la liquidità necessaria all’adempimento di un proprio debito, purchè essa rappresenti il solo mezzo per lo scopo.

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