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di Avv. Giovanni Reho e Avv. Laura Summo – È frequente che una coppia, nella fase della separazione, deve affrontare la problematica relativa ad un bene immobile in comproprietà.

Cessare la convivenza comporta necessariamente l’abbandono della casa da parte di uno dei due coniugi e questa circostanza di non trascurabile importanza può generare situazioni di conflitto. Chi deve lasciare l’abitazione se è stata acquistata con il concorso, spesso in pari misura, da parte di entrambi i coniugi? È “giusto” che uno dei coniugi abbia l’onere economico di sostenere il costo di una nuova soluzione abitativa?

Una recente sentenza della Corte Suprema di Cassazione, n. 2047/2024 del 19 gennaio 2024 si occupa del caso in cui, a fronte di una espressa richiesta da parte di uno dei due coniugi di utilizzo del bene in comune, l’altro ne faccia un uso esclusivo.

Il principio espresso dalla sentenza in commento è nel senso che, in tale ipotesi, l’ex coniuge sia tenuto al pagamento, in favore dell’altro comproprietario, di una indennità di occupazione per l’uso in via esclusiva dell’immobile. Infatti, laddove il comproprietario abbia manifestato l’intenzione di utilizzare anch’esso il bene immobile in forma diretta, ovvero con la materiale occupazione, deve potergli essere garantito o il pari uso – circostanza che nel concreto potrebbe risulterebbe pressoché impraticabile – ovvero deve essergli riconosciuta una somma equivalente ai frutti civili.

È doveroso precisare come l’articolo 1102 del Codice Civile consente al comproprietario il godimento della cosa comune per l’intero anche da parte di uno solo dei proprietari, riconoscendogli un godimento intenso e particolare, con il solo limite di non alterare il bene e di consentire agli altri comproprietari di farne uguale uso secondo il proprio diritto.

Se l’uso individuale del bene in comune non eccede i limiti stabiliti dall’art. 1102 c.c., non è dovuto alcun risarcimento nei confronti dei comproprietari che non abbiano avanzato alcuna richiesta di uso o che vi abbiano acconsentito. Il diritto non prevede, infatti, il riconoscimento di una indennità in favore del comproprietario per il solo fatto che un altro proprietario faccia uso della cosa comune, poiché tale utilizzo costituisce semplicemente espressione del diritto che spetta a ciascun proprietario e che investe l’intera cosa comune.

La ripartizione dei frutti naturali o civili tratti dal godimento del bene in comproprietà potrà avvenire in occasione di un eventuale giudizio di divisione immobiliare (in tal senso si veda Cass. 18458/2022; Cass. 7019/2019; Cass. 14213/2012).

Diverso è il caso in cui il comproprietario abbia specificamente avanzato richiesta di utilizzo del bene. In questa ipotesi l’occupante sarà tenuto al pagamento di una quota a titolo di indennità di occupazione dell’immobile, ovvero alla corresponsione di una quota di frutti civili che il godimento indiretto dell’immobile avrebbe generato.

Rilevante nel panorama giurisprudenziale il presente intervento della Corte Suprema di Cassazione, dal momento che chiarisce i rispettivi diritti e obblighi di soggetti comproprietari di un immobile, ponendo i termini entro i quali l’uno può legittimamente avanzare pretese di natura risarcitoria nei confronti dell’altro.

Il tema dell’occupazione dell’immobile in comproprietà da parte di uno solo dei due ex coniugi o ex partners è di estrema attualità, motivo per il quale la sentenza in commento si colloca nell’alveo di un tema estremamente vivo che interessa moltissime coppie, con l’obiettivo di garantire l’equo bilanciamento dei rispettivi interessi, nel rispetto dei principi dell’ordinamento in materia di comunione e comproprietà.

Le regole cambiamo nel caso in cui i coniugi siano anche genitori di figli minori o non economicamente autosufficienti. In questo caso l’affidamento dei figli e la collocazione presso l’abitazione coniugale devono essere gestiti nell’ambito del giudizio di separazione personale nel rispetto di principi di tutela dei figli e del loro diritto alla continuità abitativa nella casa famigliare.

Avv. Giovanni Reho – Avv. Laura Summo

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