E’ il fenomeno social del momento, si chiama Ruzzle ed è un gioco online per smartphone dotati di touchscreen, basato sulla conoscenza dei vocaboli della lingua italiana.
Scopo del gioco è comporre il maggior numero di parole possibile su una griglia di 16 lettere, in due minuti. Per essere validi, i termini devono esistere nel vocabolario lingua italiana ed essere stati formati senza sollevare il dito dallo schermo. La sfida si articola in tre manche e il punteggio assegnato ad ogni parola varia a seconda della lunghezza e del numero delle lettere jolly utilizzate.
L’avversario? Un amico di Facebook o un follower di Twitter. Sì, perché ciò che attira un numero così elevato di utenti non è tanto la voglia di imparare parole nuove o di mettere alla prova le proprie conoscenze, quanto il piacere di confrontarsi con i propri amici. Certo, esiste anche la possibilità di giocare contro un avversario casuale, ma perché battersi con uno sconosciuto quando si ha la possibilità di sfidare i propri “social friends”?
Così, le bacheche di Facebook si riempiono di notizie relative alle varie partite: “Mario Rossi ha battuto Paolo Bianchi con il punteggio di 700 a 200”. Un post non particolarmente piacevole per il povero Paolo Bianchi, ma di certo uno stimolo a fare meglio.
Al termine di ogni sfida è possibile visualizzare tutte le parole inserite dall’avversario. Spinti dalla voglia di capire per quale motivo i propri amici abbiano realizzato un punteggio maggiore (o minore), gli utenti si ritrovano quindi a leggere i termini scovati dai concorrenti. Il passo successivo è quello di cercare il significato dei vocaboli sconosciuti, qualche volta per curiosità, molto più spesso per verificarne la reale esistenza.
Ruzzle diventa quindi un gioco con una doppia finalità: da un lato consente di sfidare i propri amici e mostrare loro la propria bravura, dall’altro è un modo per imparare termini di cui non si conosce il significato, spesso perché arcaici o desueti. Per una volta, i tanto criticati social network possono dare un contributo alla diffusione della lingua italiana, quella originale, che in molti sembrano aver dimenticato.
Alessandra Tomasi
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