(di Nestore Thiery) – Il Decreto del Fare interviene a gamba tesa sulla giustizia civile, così come ormai è buona abitudine negli ultimi anni da parte di tutti i governi che si sono avvicendati indipendentemente dal colore politico (se ancora si può parlare di colore politico).
Il presupposto noto agli addetti ai lavori è che la Giustizia civile è un fattore di crescita “economica”. Una Giustizia civile lenta e costosa ci rende meno competitivi sul fronte internazionale.
L’emergenza della Giustizia da affrontare con tanto di decreto legge è l’arretrato civile. Un pesante fardello che il sistema Giustizia non riesce a digerire e che pesa sulle previsioni di crescita “economica” del nostro paese. A questo punto, la digressione ideologica potrebbe essere molto lunga, ma cercherò di sintetizzarla in un concetto: comprimere la tutela del diritto di difesa per dare preminenza ad un presunto interesse generale economico, significa di fatto trasformare i diritti in beni voluttuari e la tutela degli stessi in servizi. Un po’ come si fa con le sigarette. Il miglior modo per far smettere di fumare è quello di alzare il prezzo del pacchetto. I fumatori incalliti saranno quelli che potranno permettersi il vizio e pagarsi persino le cure mediche che quel vizio comporta.
Veniamo comunque alle novità del decreto “del Fare” sulla Mediazione.
La parola d’ordine è “conciliare”.
Lo deve fare il Giudice in prima udienza ovvero sino all’esaurimento dell’istruttoria nel nuovo art. 185 bis c.p.c. e nelle causa introdotte con ricorso ex art. 420 comma 1 c.p.c. all’udienza di discussione.
Lo deve fare, ed è questa la vera novità, formulando una proposta transattiva o conciliativa. La mancata accettazione della proposta senza giustificato motivo costituisce comportamento valutabile dal Giudice.
Forse a qualche Avvocato la distinzione fra proposta transattiva e conciliativa potrà sembrare superflua, ma vi è un differenza sostanziale: quella transattiva, parte dai petitum delle parti in causa e giunge ad una soluzione che – com’è noto – comporta dei passi indietro per ciascuna parte; quella conciliativa, invece, tende ad una soluzione condivisibile dalle parti che prescinde dalle domande, ma mira alla soddisfazione degli interessi in gioco che molto spesso non vengono esplicitati nelle domande giudiziali.
Questa disposizione, a mio modesto avviso, è pericolosissima per due motivi.
Innanzitutto, perché abbia rilevanza l’eventuale accettazione o rifiuto della proposta, deve essere tutto verbalizzato unitamente alla proposta del Giudice, altrimenti la novella non avrebbe senso visto che già l’art. 185 c.p.c. prevede la possibilità del tentativo di conciliazione durante tutta la fase istruttoria. E poi appare evidente come la formulazione di una proposta da parte del Giudice faccia venir meno la sua terzietà e neutralità, anticipando di fatto quello che è il suo convincimento che difficilmente potrà cambiare dopo che l’istruttoria si è conclusa. In secondo luogo, la formulazione da parte del Giudice di una proposta conciliativa significa dare ingresso nel processo ad elementi di fatto o di diritto su cui il Giudice non è stato chiamato a decidere e di cui non deve poi tenere conto in sentenza in caso di fallimento della proposta stessa. Elementi extraprocessuali (che in Mediazione vengono chiamati gli “interessi sottesi delle parti”) che di fatto entrerebbero nel processo senza alcuna allegazione delle parti.
Il Decreto poi reintroduce e, per certi versi, riscrive la Mediazione Obbligatoria.
Era difficile sbagliare una seconda volta, ma l’ufficio legislativo del Ministero non ha perso questa occasione.
Tutta la novella mira a captare la benevolenza dell’Avvocatura (cosa che il Ministro avrebbe ottenuto più facilmente approvando in tempi brevi il decreto sui parametri che giace sulla sua scrivania).
L’impressione che mi sono fatto da Avvocato e Mediatore è che si sono resi ridicoli agli occhi sia degli Avvocati che dei Mediatori.
Prevedere che tutti gli Avvocati (260.000 persone, tanti sono gli iscritti all’Albo) sono mediatori di diritto, significa di fatto dire che nessuno è più Mediatore. L’obiettivo era, in risposta alle osservazioni mosse dalla Corte Costituzionale e prima ancora dal TAR Lazio, qualificare il Mediatore attribuendogli garanzie di competenza e professionalità. Sarebbe bastato per favori gli Avvocati prevedere una corsia preferenziale ad hoc per diventare mediatori, magari con un esiguo numero di ore di corso, per operare una minima selezione alla fonte che avrebbe garantito in una platea qualificata, quale quella degli Avvocati, un numero elevato di Mediatori realmente interessati.
A tal proposito, nel “rivisitare” la Mediazione ci si è del tutto dimenticati che un punto su cui tutti noi operatori del settore mediazione avevamo manifestato delle forti perplessità era proprio quello della formazione dei Mediatori. Da subito abbiamo chiesto a gran voce che fosse migliorata rendendola seria e realmente qualificante. Su questo punto comunque mi aspetto a breve qualche novità dal Ministero.
Torna l’obbligo di informativa (art. 4 del D.Lgs. 28/2010) e torna la condizione di procedibilità (art. 5), con l’esclusione del risarcimento danni da sinistro stradale.
Viene stravolta la cosiddetta Mediazione Delegata. Mentre prima era facoltativa per le parti in quanto il Giudice poteva solo “invitarle” ad esperire il procedimento di mediazione, con la novella il Giudice dispone (sarebbe stato meglio dire “impone”) “d’ufficio” la mediazione ed indica l’Organismo di Mediazione.
Tale disposizione è assolutamente da censurare in sede di conversione. Innanzitutto perché introduce di fatto una mediazione obbligatoria “endoprocessuale”, senza alcuna limitazione per materia, costringendo le parti a dover sopportare costi non previsti e soprattutto non voluti. L’indicazione poi dell’Organismo di Mediazione da parte del Giudice aprirà uno squallido mercimonio, specie se si considera che la disposizione oltre ad essere applicabile dai magistrati togati, sarà applicata anche dai Giudici di Pace e dai GOT.
Viene introdotto poi un primo incontro di mediazione orientativo definito “di programmazione” in cui il Mediatore verifica con le parti la possibilità di proseguire il tentativo di mediazione. Questa è una utile novità anche perché vengono previsti dei costi minimi per chi aderisce a questo incontro.
In quell’incontro il Mediatore ha l’occasione di incontrare le parti e tentare la strada dell’accordo.
Qualora poi le parti decidano di proseguire la mediazione, si applicherà la “tariffa piena”.
Pertanto, vi saranno tre tipi di indennità da pagare all’Organismo. Quella minima in caso di mancata adesione dell’altra parte (40-50 euro per parte). Quella molto contenuta, che va da un minimo di 80 euro a un massimo di 250 totali (in base al valore della mediazione) da corrispondere in caso di partecipazione al solo primo “incontro di programmazione”. Quella “piena” decisa dall’Organismo da applicare in caso di decisione di tutte le parti di proseguire l’incontro di mediazione, fatta salva l’eventuale maggiorazione del 25% in caso di accordo.
Un’ulteriore cadeau fatto agli Avvocati è la disposizione relativa al verbale di accordo che può divenire titolo esecutivo sole se tutte le parti sono assistito da Avvocati.
Questa disposizione è decisamente discriminante nella misura in cui non prevede per i non abbienti la possibilità di ottenere il patrocinio a carico dello Stato. E’ evidente che viene pregiudicata la parte che in mediazione non può permettersi un Avvocato.
In ogni caso era già garanzia di legalità il controllo del Presidente del Tribunale.
In conclusione, questa novella legislativa, a mio modesto avviso, non centra l’obiettivo di dare all’Avvocatura un ruolo di preminenza nell’ambito della mediazione e soprattutto non rende la Mediazione all’altezza del ruolo che il Legislatore pervicacemente intende affidarle: quello di strumento per una rapida e efficace soddisfazione delle parti coinvolte in una controversia.
L’Avvocato, così come il Giudice, sono operatori del diritto inteso non come merce o bene voluttuario, ma come espressione delle libertà individuali di ciascuno di noi. Confondere il ruolo di Avvocato di Giudice con quello di Mediatore significa confondere la tutela dei diritti con un altro genere attività, quella del Mediatore, che come sappiamo non opera sul piano del diritto, ma sul differente piano della negoziazione.
Aver accomunato l’Avvocato al Mediatore, sempre a mio modesto avviso, significa non aver tenuto conto delle peculiarità di ciascuno dei ruoli che non sono in alcun modo sovrapponibili.
Mi viene da pensare, purtroppo, che tanto il Ministero quanto il Governo non abbiano idea di quali siano le peculiarità dell’Avvocato e quelle del Mediatore.
Avv. Nestore Thiery
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