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Se dovessimo riepilogare quanto accaduto dal giorno delle elezioni fino ad oggi ci renderemmo forse conto di quanto la nostra democrazia sia “anomala”.

Anzi, facciamo un passo indietro. L’Italia arrivava alle elezioni sotto la guida di un governo molto “contestato” e con un premier (Monti) che da “super partes” diventa uno dei protagonisti in negativo più discussi della campagna elettorale. Lui la chiama “salita in politica”. Il governo Monti era stato voluto, caldeggiato e spesso difeso da Napolitano.

Alle elezioni Monti prende una sonora bastonata, vince di pochissimo il PD che non riesce ad ottenere la maggioranza assoluta al Senato mentre il PDL, dato inizialmente per morto, rimonta bene. Ma il risultato più importante lo ottiene il M5S di Beppe Grillo, con una straordinaria affermazione che la politica avrebbe dovuto interpretare come un forte segnale di richiesta di cambiamento da parte degli Italiani.

Ma niente. Inizia il balletto del governo. Il Pd dice che non vuole inciuci con il PDL e tenta di corteggiare Grillo fino allo stremo. Bersani fallisce il suo tentativo di formare un governo e Napolitano, anziché dimettersi per accelerare il processo di nomina di un nuovo presidente, decide di rimanere in carica fino all’ultimo nominando dieci saggi (nemmeno una donna fra questi) con il compito di stabilire delle linee guida prioritarie per un programma di governo futuro.

Il Presidente afferma che un governo c’é e che é nel pieno dei poteri visti i provvedimenti economici che avrebbe preso da lì a qualche giorno. Avrebbe forse dovuto il Presidente tenere maggiormente conto che il governo Monti é stato sonoramente bocciato dalle urne? Si crea così un grave precedente di dubbia legittimità costituzionale.

Il lavoro dei saggi, perlopiù vecchie conoscenze della più vecchia politica, termina con una relazione insieme al mandato di Napolitano.

Si aprono le votazioni per il Quirinale e il PD tenta un accordo col PDL ignorando del tutto il M5S di Grillo, partito che fino al giorno prima aveva corteggiato.

Grillo chiede al popolo del web di esprimersi e le votazioni indicano il nome della Gabanelli che rinuncia. Così il M5S indica il nome di Stefano Rodotà, uomo del PD ma anche indiscutibile garante del diritto e della Costituzione.

Il PD non sente e candida Marini. Riceve l’appoggio di PDL e Montiani ma Marini viene clamorosamente “bocciato” alla prima votazione da oltre 200 franchi tiratori.

Alla quarta votazione il PD decide di fare da solo dopo le incursioni di Renzi che vuole il rinnovamento. Rinnovamento e rottamazione non sono evidentemente termini ancora di moda in casa Renzi che decide di proporre il nome di Prodi.

Il partito acclama all’unanimità salvo poi non votare Prodi a scrutinio segreto. L’ex premier dell’Ulivo e della defunta Unione non riesce ad essere eletto, colpito anche qui da un centinaio di franchi tiratori.

Intanto M5S e Sel continuano a votare compatti per Rodotà ma il PD ignora totalmente questo nome.

Il doppio flop del PD costringe Bindi e Bersani alle dimissioni. Il partito é allo sbando e l’inciucio é servito.

Il PDL osserva con soddisfazione la caduta del PD e ritenendolo ormai incapace di proporre e poi votare un nuovo nome, suggerisce di convincere Napolitano a rimanere in campo.

Il PD e Scelta Civica, insieme al PDL, si recano in fila da Napolitano a pregarlo di rimanere e accettare una ricandidatura.

Lui fa finta di pensarci e dopo nemmeno un’ora dice sì con il solito e ormai stucchevole rituale “per il  supremo interesse nazionale”, lo stesso interesse nazionale che vede l’Italia in una fase di stallo da ormai un anno e mezzo.

Napolitano viene rieletto e ora la decisione del nuovo governo é pienamente nelle sue mani. Le forze che lo hanno rieletto non potranno esimersi dall’appoggiare il governo del presidente, chiunque sia nominato a guidarlo. E si fanno strada i soliti nomi della vecchia politica.

A questo punto vengono da chiedersi molte domande. Raccontata così la cronologia degli eventi farebbe pensare ad una grande farsa dove tutto appare ben preparato per consentire un governissimo legittimato dal Presidente, lo stesso Presidente che aveva deciso per l’inciucio su Monti.

Se non fosse per la crisi del PD sembrerebbe davvero tutto finto. Ma il PD poteva evitare tutto questo votando Rodotà e non lo ha fatto.

Insomma, gli interessi della classe politica sembrano avere ancora una volta prevalso sull’interesse nazionale. Ora appare chiaro che una delle riforme prioritarie da fare sarà quella di far eleggere il presidente della repubblica direttamente ai cittadini. Ma questa classe politica che fa fatica a cambiarsi la legge elettorale, riuscirà davvero a cambiare qualcosa?

SB

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