Raffaele Cantone è il Presidente della prima struttura creata nel nostro Paese per affrontare il più antico problema nazionale: la corruzione.
Quello che appunto definisce Il male italiano e che analizza nel libro che esce oggi per Rizzoli, scritto con Gianluca Di Feo, giornalista che dal 1992, prima al Corriere della Sera e ora a l’Espresso, ha seguito tutti gli scandali di tangenti.
I tre pilastri della lotta alla corruzione
Cantone sostiene la necessità di un intervento sistematico «con tre pilastri che funzionino in sinergia. Serve prevenire, anche mettendo in campo nuovi meccanismi, agendo sul piano amministrativo. Deve continuare la repressione penale affidata alla magistratura e alle forze dell’ordine, con strumenti d’indagine più incisivi e processi efficaci. Ma è indispensabile una grande presa di coscienza della pericolosità del male, del danno che crea a tutti i cittadini, una vera rivoluzione culturale. Da sola, ciascuna di queste azioni non ha speranza di risolvere il problema».
È quello che è accaduto venti anni fa con Mani Pulite: l’eccezionale attività del pool di Milano non è riuscita a cambiare il Paese perché «dopo operazioni chirurgiche anche profonde e ben riuscite non c’è mai stata prevenzione. La corruzione è un cancro: uccide una società azzerando lentamente il merito e la concorrenza, nelle imprese, nella burocrazia, nei partiti, e finisce persino per incentivare la “fuga dei cervelli”, delle energie migliori del nostro Paese. Ma dopo un intervento con il bisturi, cosa si fa per impedire che il male torni a svilupparsi? Si prosegue con le terapie, accompagnate da quello che i medici chiamano “un nuovo stile di vita”, eliminando vizi e abitudini malsane. In Italia non si è mai neppure provato a fare prevenzione».
Expo, Mose, Mafia Capitale
Nel libro il Presidente dell’Autorità anticorruzione passa in rassegna le tre vicende di cui si è occupato direttamente: Expo, Mose e Mafia Capitale. «Oggi il mercato della corruzione non è gestito dai partiti, ma da tanti gruppetti che operano per se stessi, muovendosi in autonomia e sfruttando i legami con la politica per costruire carriere personali. Spesso queste consorterie sono trasversali, mettono insieme figure di schieramenti diversi, in modo da garantirsi maggiori possibilità di riuscita. Stando alle ultime indagini, è una tendenza generalizzata: nel caso di Expo si trattava di gruppi forse meno organizzati ma che comunque facevano riferimento a partiti che dovrebbero trovarsi su sponde diverse, mentre sul Mose è stata smascherata una rete che legava Venezia, la Regione Veneto e i ministeri romani. Ma lo scandalo che meglio ritrae la mutazione del male è senza dubbio Mafia Capitale: un nucleo di potere che muove pedine di ogni colore, infischiandosene delle logiche di partito. La politica svolge un ruolo strumentale, del tutto asservita ai comitati d’affari».
I rischi delle primarie
Raffaele Cantone mette anche in guardia sui rischi delle primarie: «Credo che le primarie siano un metodo democratico importante e abbiano avuto un ruolo decisivo per sbloccare alcune dinamiche inceppate della vita dei partiti. Oggi come oggi, però, rischiano di diventare uno strumento pericolosissimo per la corruzione della classe politica».
La trasparenza nelle Fondazioni
Nel libro c’è una parte dedicata alle Fondazioni, che sono diventate il canale principale di finanziamento della politica e rispetto alle quali è necessaria massima trasparenza «non solo sulle entrate, ma anche sulle uscite. Un partito o una fondazione che si occupa soprattutto di politica deve essere una casa di cristallo. Ciò significa che tutte le entrate e tutte le spese vanno certificate, devono essere noti i nomi dei dipendenti, dei consulenti, dei fornitori. È l’unico antidoto. Che si tratti di soldi pubblici o privati, i cittadini devono sapere chi finanzia la politica in tutte le sue forme».
Trasparenza è la parola chiave dell’attività di Cantone, lo strumento per combattere tutti i conflitti d’interesse: «È una rivoluzione copernicana, che permette di entrare in profondità nella vita degli uffici e rende i cittadini soggetti attivi».
La meritocrazia nella pubblica amministrazione
Nella pubblica amministrazione bisognerebbe premiare le energie migliori, permettendo che sia il merito a decidere le carriere, che invece oggi «sono troppo spesso una proiezione degli equilibri politici: fa strada chiunque si dimostri fedele all’esponente di un partito o di un gruppo di potere in auge».
La responsabilità è di tutti
Nel libro Cantone passa in rassegna le responsabilità di politici, imprenditori e burocrati. Ci sono critiche a quella parte di magistratura «che non ha voglia di impegnarsi in inchieste difficili. In qualche caso abbiamo dato l’impressione d’essere duri e puri davanti a questioni banali e di non saper affrontare con fermezza i problemi più gravi», al sindacato che «sul fronte della lotta alla mafia è stato molto determinato mentre nel contrasto alla corruzione non si percepisce ancora la stessa sensibilità».
Quanto alle imprese, «il loro obiettivo è il profitto e quindi la strategia deve andare nel senso di rendere la legalità conveniente per gli imprenditori. Perché la lotta alla corruzione non si fa contro di loro, ma insieme a loro».
Ma a cambiare la situazione devono essere tutti i cittadini, spesso tolleranti verso i corrotti. «Troppi pensano che la questione non li riguardi. Sono rassegnati e si dicono: “È andata sempre così”. Ma è proprio perché è andata sempre così che adesso siamo ridotti male! Il codice penale sostiene che le tangenti sono reati contro la pubblica amministrazione. Forse è vero dal punto di vista tecnico-giuridico, ma dal punto di vista dell’impatto sociale sono reati contro tutti, anche contro quelli che apparentemente non pensano di subire danni. L’imprenditore recupera il costo della mazzetta sulla qualità delle opere: quanti sono i ponti tirati su con cemento scadente? È per questo che in tante città abbiamo uffici, scuole, ospedali, strade e servizi mediocri. Il prezzo della corruzione lo paghiamo tutti».
In conclusione, scrive Cantone: «Non possiamo sempre dare la colpa agli altri, tocca a noi assumere la responsabilità della sfida, anche se si dovesse chiudere con un insuccesso. E se anche dovessimo affrontare un fallimento, bisognerà avere l’onestà di riconoscerlo. Il tempo degli alibi e delle scuse è finito da un pezzo».
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