di Giovanni Reho – La Corte di Cassazione, Sezione Tributaria con l’ordinanza n. 23570/2024 pubblicata il 3 settembre 2024 ha applicato retroattivamente il decreto legislativo n. 87 del 2024 (G.U. n. 150 del 28 giugno 2024) in vigore dal 29 giugno 2024.
L’art. 21 bis del citato decreto, rubricato “Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione”, dispone:
“1. La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi.
- La sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio”.
Nel caso di specie, il contribuente era stato condannato dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia per l’asserita emissione di fatture relative ad operazione inesistenti ma assolto “perché il fatto non sussiste” del reato previsto all’art. 8 del D. Lgs. n.74 del 2000 nel processo penale con formula definitiva passata in giudicato.
Il contribuente aveva depositato la sentenza penale di assoluzione con la memoria difensiva in vista dell’adunanza camerale di cui la Corte di Cassazione ha tenuto conto in applicazione del principio del ius superveniens.
In proposito, la Corte di Cassazione ha affermato che “tale ius superveniens si applica anche ai casi in cui la sentenza penale dibattimentale di assoluzione sia divenuta irrevocabile prima dell’entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 87 del 2024” a condizione che alla data di entrata in vigore del decreto legislativo, sia ancora pendente il giudizio di cassazione contro la sentenza tributaria d’appello che ha condannato il contribuente in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente, dai quali egli sia stato irrevocabilmente assolto, in esito a giudizio dibattimentale, con una delle formule “di merito” previste dal codice penale (“perché il fatto non sussiste” oppure “perché l’imputato non lo ha commesso”).
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, i fatti posti alla base degli avvisi di accertamento impugnati erano gli stessi già oggetto dell’imputazione penale dalla quale il contribuente era stato definitivamente assolto.
In applicazione del citato art. 21 bis, il giudicato penale di assoluzione ha dunque spiegato efficacia anche nel processo tributario con la conseguenza che i fatti accertati nel processo tributario sono stati considerati non sussistenti in quanto in contrasto con l’accertamento compiuto nel giudizio penale.
La portata della pronuncia è di notevole rilievo soprattutto in considerazione dell’applicazione retroattiva dell’art. 21 bis che può essere oggetto di importanti sviluppi per una più ampia applicazione dello stesso principio del ius superveniens che in relazione a casi analoghi anche in ambito non strettamente tributario, nel rispetto del principio costituzionale di cui all’art. 3 Cost.
avv. Giovanni Reho
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