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In Italia, vivono circa 34mila sacerdoti che, ogni giorno, mettono la propria vita al servizio del prossimo. Uomini sostenuti da Dio capaci di rappresentare per i poveri e i bisognosi la speranza che altrove non si trova. Ed è proprio per il loro ruolo strategico all’interno della società che sostenere i sacerdoti con le offerte vuol dire garantire anche agli ultimi un aiuto concreto, tutte quelle cure materiali e spirituali necessarie per condurre una vita dignitosa.

In questi anni da Pontefice, lo ha più volte ribadito anche Papa Francesco, per cui i preti rappresentano le fondamenta della Chiesa, le colonne senza le quali il Cristianesimo rimarrebbe pura teoria.

Ma è esistono tre parole per descrivere le qualità del sacerdote? È possibile riassumere una funzione tanto rilevante per la società e la Chiesa senza correre il rischio di diventare prolissi?

Per il Santo Padre, sono appunto tre le condizioni essenziali per vivere la propria vocazione a modo, riprendendo l’insegnamento delle Sacre Scritture: essere teneri con i fedeli, vivere in povertà e saper ascoltare il silenzio oltre che le parole.

“State lontani dai soldi, siate poveri che amano i poveri”

Siate poveri che amano i poveri”. Per Papa Francesco essere sacerdoti non è possibile senza tenersi lontano “dalla vanità, dall’orgoglio dei soldi”. Nel denaro “entra il diavolo”, è attraverso i soldi che il demonio tenta il popolo di Dio.

Per quel che concerne la “carriera ecclesiastica”, il pensiero del Pontefice, ribadito in occasione occasione della 58esima “Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni”, durante la Messa nel corso della quale hanno ricevuto l’Ordinazione sacerdotale nove diaconi provenienti dal Pontificio Seminario romano Maggiore, dal Collegio diocesano Redemptoris Mater e dal Seminario della Madonna del Divino Amore, è chiaro: “Non siate arrampicatori. La “carriera ecclesiastica”… Poi diventi funzionario, e quando un sacerdote inizia a fare l’imprenditore, sia della parrocchia sia del collegio…, sia dove sia, perde quella vicinanza al popolo, perde quella povertà che lo rende simile a Cristo povero e crocifisso, e diventa l’imprenditore, il sacerdote imprenditore e non il servitore”.

Quella del sacerdote, infatti, non è una carriera. Bensì una missione, “un servizio come quello che ha fatto Dio al suo popolo. E questo servizio di Dio al suo popolo ha delle “tracce”, ha uno stile, uno stile che voi dovete seguire. Stile di vicinanza, stile di compassione e stile di tenerezza. Questo è lo stile di Dio. Vicinanza, compassione, tenerezza”.

“Non siate rigidi, abbiate tenerezza”

Più volte, durante il suo Pontificato, Papa Francesco ha sottolineato il valore della tenerezza, qualità indispensabile per qualsiasi servitore di Cristo. Per il Santo Padre, la vocazione del sacerdote si concretizza nella vicinanza all’altro, nell’essere portavoce della speranza senza alcuna rigidità e riduzione.

Come Gesù nel Vangelo non manca mai di mostrarsi tenero con il popolo e da “buon Pastore” non lascia indietro nessuna delle sue pecore, così il prete deve “farsi vicino al popolo: se non sa farlo gli manca qualcosa. Forse è un padrone del campo, ma non è un pastore. Un pastore al quale manca tenerezza sarà un rigido che bastona le pecore”.

Solo facendosi pane spezzato per chi ne ha bisogno, si riesce nell’arduo compito di toccare il cuore della gente, arrivando ad accarezzare la parte più intima dell’anima umana: “Le persone non solo apprezzano molto il sacerdote vicino, che cammina in mezzo alla sua gente con vicinanza e tenerezza, ma vanno oltre: sente per lui qualcosa di speciale, qualcosa che sente soltanto alla presenza di Gesù. Perciò non è una cosa in più questo riconoscere la nostra vicinanza. In essa ci giochiamo se Gesù sarà reso presente nella vita dell’umanità, oppure se rimarrà sul piano delle idee, chiuso in caratteri a stampatello, incarnato tutt’al più in qualche buona abitudine che poco alla volta diventa routine”.

“La Chiesa è mandata nel mondo per ascoltare il grido dell’umanità”

Per concludere, l’ultimo suggerimento di Papa Francesco per i sacerdoti riguarda la capacità di ascolto. Non solo parlare, bene, di Dio: ma anche e soprattutto aprire le orecchie ai problemi del popolo, a quelli gridati e a quelli taciuti: “Questo ascolto del cuore nella preghiera ci educa a essere persone capaci di ascoltare gli altri, a diventare – se Dio vuole – preti che offrono il servizio dell’ascolto – e come ce n’è bisogno! -; e ci educa ad essere sempre più Chiesa in ascolto, comunità che sa ascoltare”.

Predisposizione all’ascolto che non può mancare mai durante il sacramento della Confessione: qui, più che altrove, il confessore diventa colui che è capace di accogliere le confidenze umane e, al tempo stesso, ascoltare i suggerimenti divini dello Spirito Santo. Per praticare, poi, il perdono dei peccati.

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