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RLP(di Giulio Perrotta) Roberto La Paglia, classe 1961, è un giornalista freelance, scrittore e divulgatore nel campo delle tematiche misteriose e delle scienze di frontiera; autore di numerose pubblicazioni editoriali e altrettanti articoli per varie riviste del settore, alterna a queste sue prevalenti attività l’interesse per la poesia, la letteratura e l’informazione alternativa. Tra le sue pubblicazioni: Archeologia Aliena – Enigmi sepolti – Segnali dallo spazio – Ufologia occulta – Il grande libro dei misteri – Il segreto di Fulcanelli – Misteri sconosciuti d’Italia – Stregoneria moderna – Forbidden histories. Rilevante la sua produzione di ebook in formato digitale. Negli ultimi anni, dimostrando una notevole spinta eclettica, si è spesso soffermato sull’osservazione e l’approfondimento di tematiche scottanti, quali i disagi sociali, i conflitti ideologici e le verità nascoste.

Oggi, all’Altra Pagina, risponderà a diverse domande inerenti il suo saggio “Mitologia Aliena”, acquistabile sul sito: http://www.macrolibrarsi.it/libri/__mitologia-aliena-roberto-la-paglia-libro.php

1) Roberto, entriamo subito nel vivo della questione. Secondo i tuoi studi: quando e come gli alieni scoprirono la Terra? E da dove provenivano?

Una attenta analisi di quella che è stata l’evoluzione dell’umanità attraverso i secoli, ci porta a pensare che le interazioni aliene con il nostro pianeta  risalgano già alla preistoria; si tratta ovviamente di una datazione legata alle evidenze archeologiche, ed è plausibile pensare che tali avvenimenti fossero una costante già da tempo. Il primo riferimento è quindi riscontrabile in uno dei tanti misteri che da sempre affligge gli storici e gli scienziati, quello dei petroglifi, e in particolar modo quello che riguarda molte raffigurazioni antiche che sembrano riprodurre moderne creature rivestite da una sorta di tuta spaziale, se non addirittura veri e propri esseri di natura non umana. L’archeologia ufficiale ha sempre interpretato tali “anomali” come rappresentazioni di fantasia, trasposizioni di antichi rituali tesi ad esorcizzare la paura dei primi uomini che si confrontano con un ambiente ostile, con tutti quei fenomeni naturali ai quali non riescono a dare una spiegazione razionale e che, proprio per questo motivo, attribuiscono a misteriose entità. A questa spiegazione si associa spesso quella dei primi uomini intenti a riprodurre scene di vita quotidiana. Ma è possibile accettare totalmente queste teorie? L’uomo primitivo dipingeva o scolpiva la pietra per riprodurre ciò che temeva o ciò che osservava? Come sempre la verità risiede in un compromesso non sempre accettabile; è del tutto plausibile che i primi uomini esorcizzassero le loro paure dipingendole sulla pietra, ma è altrettanto verosimile che l’uomo primitivo dipingeva ciò che realmente vedeva. Si tratta in pratica della prima scintilla che accese l’arte della pittura e della scultura, dipingere e ritrarre avvenimenti reali che in seguito, nel tempo, si arricchirono di aggiunte fantastiche, dando libero sfogo alla fantasia dell’artista. Se quindi nel Paleolitico, un periodo di tempo risalente a 40/35000 anni fa, ignoti “artisti” ritrassero strane figure dotate di quelle che oggi non possiamo non accostare a caschi e tute spaziali, oppure ai famosi “grigi” della letteratura ufologica, è logico pensare che tali figure vennero in qualche modo osservate, che interagirono, direttamente o meno, con gli abitanti del nostro pianeta. Per ritrovare tali testimonianze basta osservare le pitture rupestri di Rufignac, Altamira,  Lascaux, oppure le incisioni rupestri lasciate dalla misteriosa civiltà dei Camuni in Valcamonica, le rappresentazioni degli spiriti celesti dei Kajuti siberiani, le raffigurazioni dei Wandjina appartenenti agli aborigeni australiani, soltanto per citarne alcuni. Molto più complicato risulta invece tentare di capire quale fosse la provenienza di queste misteriose creature. In tal senso le pitture rupestri non forniscono ulteriori indizi, risulta però interessante ricordare l’antico popolo dei Dogon, la loro esatta conoscenza di Sirio A e Sirio B, e i racconti in merito ai misteriosi Nommo che originariamente visitarono la loro terra. A queste informazioni è doveroso aggiungere i vari saggi di Sitchin in merito al pianeta Nibiru, oltre alla corposa produzione letteraria di Alan Alford in merito agli antichi Sumeri e all’antico Egitto. Avendo citato Sitchin risulta opportuno soffermarsi su alcune informazioni rintracciabili nei suoi scritti; il riferimento va ovviamente all’ormai famoso Nibiru, un pianeta che viaggia su una orbita ellittica e con un periodo di rivoluzione intorno al sole di circa 3600 anni, il misterioso pianeta X, ospite del nostro sistema solare ma invisibile ai nostri occhi. Gli antichi Sumeri lo conoscevano con il nome di Nibiru, mentre per i Babilonesi si trattava di Marduk. In un periodo di tempo stimabile in miliardi di anni fa, Nibiru venne a trovarsi in posizione tra Marte e Giove; in quello stesso periodo un suo satellite si scontrò con un pianeta che si trovava sulla sua stessa traiettoria (Tiamat). Le conseguenze di questo scontro furono che il pianeta urtato si ritrovò, insieme a un suo satellite (Kingu), tra Venere e Marte, dando così origine al sistema Terra-Luna. Una parte del pianeta colpito, ridotta ormai in frammenti, ricadde sul suo satellite, mentre i residui dei satelliti di Tiamat furono scagliati lungo una orbita oblunga e retrograda dando così origine alle comete. Infine, altri pezzi rimasero sul luogo dell’impatto e generarono la fascia degli asteroidi. Tiamat ospitava già sulla sua superficie forme di vita organica a livello macromolecolare, che in conseguenza dell’ urto si trasferirono sul pianeta colpito. Secondo Sitchin queste forme di vita subirono una evoluzione molto più veloce rispetto a quanto accadde sulla terra; proprio da questo presupposto prende il via la teoria degli Anunnaki (termine estrapolato dagli antichi testi sumero babilonesi), i quali, 450mila anni fa, viaggiarono fino al nostro pianeta e vi fondarono una colonia al fine di estrarre preziosi minerali dal sottosuolo, compreso l’oro. I primi insediamenti nacquero in Medioriente, lo stesso luogo che vide l’atterraggio degli Anunnaki, e al loro interno venne stabilità una sorta di gerarchia, basata soprattutto sull’indiscusso grado di evoluzione di questi esseri rispetto agli abitanti del nostro pianeta. Per un lungo periodo di tempo gli eventi si trascinarono sempre uguali, almeno fino a quando l’ammutinamento di alcuni lavoratori, (avvenuto circa 300mila anni fa), portò uno degli scienziati venuti dal pianeta (Enki), a studiare la possibilità di creare una razza obbediente e poco bellicosa in modo da poter continuare il lavoro di estrazione dal sottosuolo. Nacque in tal modo l’ Homo Sapiens, mescolando l’ ovulo di una ominide terrestre. Rimangono, in ultimo, i numerosi ritrovamenti classificati come Oopart, oggetti fuori dal tempo, manufatti che non dovrebbero esistere se vogliamo rispettare l’andamento lineare dell’evoluzione umana che ci viene proposto dalla scienza ufficiale. Si tratta di una vera e propria spina nel fianco per la scienza ufficiale, che lascia ipotizzare l’esistenza di culture progredite anche nella più remota antichità. In tal senso è utile citare la scoperta avvenuta nel 1991 da parte di gruppo di geologi russi che stava compiendo una serie di prospezioni nel bacino dei fiumi Narada, Kozim e Balbanyu, sul versante orientale dei Monti Urali. Scopo degli studi era quello di individuare la presenza di filoni auriferi, ma ciò che venne alla luce nelle sabbie estratte da alcuni depositi risalenti al Pleistocene furono invece piccole spirali, anelli, sottili filamenti metallici, tutte cose che facevano pensare ad una avanzata tecnica metallurgica nel Pleistocene? Le dimensioni vennero stimate da tre centimetri a tre millesimi di millimetro, dimensioni che rientrano nel campo delle nanotecnologie. Gli oggetti più grandi erano in rame, quelli più microscopici in tungsteno e molibdeno. Il tungsteno è un materiale che fonde a 3410° C., usato per realizzare i filamenti delle lampadine oppure come indurente per le leghe d’acciaio; il molibdeno fonde a 2650° C., e viene impiegato nella metallurgia per realizzare leghe in acciaio particolarmente dure e resistenti alla corrosione. Tutte le spirali rinvenute, nel loro sviluppo geometrico, seguivano la regola della Proporzione Aurea! I reperti vennero analizzati nel 1996 dallo ZNIGRI di Mosca, Istituto Centrale di Ricerca Scientifica per la Geologia e la prospezione dei metalli preziosi e non ferrosi, emise un comunicato, (numero 18/485 del 29 novembre 1996) a firma della dottoressa E. W. Matveyeva, direttrice della sezione geologia; il comunicato descriveva il sito dei vari ritrovamenti e gli esami condotti sugli oggetti. Il luogo del ritrovamento era un deposito alluvionale sulla riva sinistra del fiume Balbanyu, e l’area interessata era suddivisa in quattro strati: una crosta esterna spessa da cinque a dieci metri, delle inclusioni di sabbia e argilla, dei depositi di detriti e ghiaie, argilla e ghiaia per due metri di spessore. All’interno di questo ultimo strato avvennero i ritrovamenti e la datazione riportava il tutto ad almeno centomila anni fa. Gli esami vennero condotti impiegando un microscopio elettronico e uno spettrografo. Uno degli oggetti si rivelò simile a una vite a spirale di tungsteno, larga due decimi di  millimetro e lunga un millimetro, l’altro frammento si rivelò un anello di molibdeno largo tre millesimi di millimetro. Lo strato dal quale emersero gli oggetti non presentava alcun segno di sconvolgimento ed è quindi improbabile pensare che si trattasse di residui di apparecchiature tecnologiche o formazioni naturali; oltretutto non si spiega come questi oggetti possano essere finiti proprio a quella profondità e come possano essersi sparpagliati in un’area così vasta.

2) Quali sono le fonti e quanto sono attendibili da un punto di vista storico?

Come dicevo prima le fonti esistono e sono rappresentate dai vari ritrovamenti archeologici e dalle memorie antiche pervenute fino a noi; il problema risiede nel fatto che tali evidenze devono essere rilette e osservate mantenendo una diversa visione di quella che potrebbe essere stata la storia del nostro pianeta. La scienza ufficiale, e con essa l’archeologia, seguono in fondo quello che è sempre stato l’istinto primordiale dell’uomo, ovvero difendersi dall’ignoto, da ciò che difficilmente può essere spiegato, per rifugiarsi in soluzioni ottimali, più tranquille, che non sconvolgano quella concezione di realtà che ci siamo costruiti e con la quale conviviamo quotidianamente. Lo studio e la comparazione dei reperti archeologici, a partire dalle pitture rupestri, unito ad una attenta rilettura degli antichi testi (soprattutto quelli a tema religioso), potrebbero portare a significative e sconvolgenti rivelazioni, tutto ciò a patto che tale riesame venga effettuato con onestà intellettuale e coraggio, il coraggio di rimettere in discussione tutto ciò che ci è stato detto e aprire la mente ad una diversa concezione della storia, della vita e dell’universo che ci circonda. Questo tipo di lavoro è già iniziato a partire dagli anni Cinquanta con la pubblicazione di “Ufo and the Bible” di Morris Jessup, mettendo man mano in discussione molti di quelli che erano i punti fermi della dottrina ufficiale e continuando nel tempo fino ad arrivare a Sitchin e, in ultimo, agli studi di Mauro Biglino. In entrambi i casi appena citati, reperti archeologici e scritti storici, l’attendibilità è fuori discussione; parlando di letteratura antica possiamo soltanto puntualizzare il fatto che sia stata nel tempo oggetto di censura, che possa risalire a centinaia d’anni prima o dopo, ma rimane il fatto che tutte le antiche cronache concordino su determinati avvenimenti, oltre che sulla descrizione di determinati personaggi. Si potrebbe certo argomentare intorno al fatto che si tratti di antiche storie passate oralmente da civiltà in civiltà, ma un esame attento dei testi, delle cosmologie, dei reperti, pone in evidenza un fattore totalmente diverso: la somiglianza esiste a prescindere dall’epoca, dal contesto culturale e dalla posizione geografica. In poche parole popoli vissuti in contesti temporali e geografici diversi tra loro, che non hanno avuto nessuna occasione di contatto, narrano sempre le stesse storie; questo porta a pensare che vari avvenimenti accaddero in epoche remote in diverse parti del mondo, avvenimenti che vennero inizialmente riportati nelle pitture rupestri e che, per la loro sconvolgente unicità, segnarono in maniera definitiva l’inconscio collettivo.

3) Che prove abbiamo dal passato della presenza aliena sulla Terra in Medioriente (Mesopotamia in primis) e in India?

La questione della presenza aliena in Medioriente riveste particolare importanza, merita però allo stesso tempo un ulteriore approfondimento. La maggioranza degli studiosi, compresi gli esoteristi a partire da Guenon, identifica l’Oriente come la culla della civiltà umana, intendendo come origine una sinergia tra l’elemento materiale e quello spirituale, dualismo che in questo periodo sembra si cerchi di dimenticare. In questi ultimi anni particolare rilevanza è stata data alla questione Sumera e alla sua connessione con gli avvenimenti biblici, il tutto riletto in chiave extraterrestre; è ovvio che la Mesopotamia rappresenta uno scenario molto più vicino a noi in termini di studio, nonostante si parli di millenni, e molto più fruibile vista la ricchezza di testi antichi disponibili, ritengo però che tale visione debba essere spostata ancora più indietro, focalizzando l’attenzione sulla cultura Vedica. Quando parliamo di cultura Vedica ci riferiamo ad un periodo temporale ascrivibile al II millennio a.C., subito dopo il collasso della civiltà della valle dell’Indo, e in particolare al Rigveda-Samhita, composto tra il 1500 e il 1200 a.C. In questi antichi testi, pervenuti in maniera frammentaria e da molti osteggiati, ritroviamo incredibili descrizioni di scenari assolutamente moderni, se non addirittura futuristici anche per la nostra civiltà. Guerre nucleari, armi sconosciute e micidiali, velivoli che solcano il cielo, la teoria della relatività, la fusione dell’atomo e la combinazione delle leghe metalliche, insospettabili conoscenze metallurgiche. I riferimenti sono particolareggiati, le descrizioni incredibilmente familiari per la nostra epoca. Parliamo di testi quali il Mahabharata, il Samarangana Sutradara, il Ramayana, la Mahavira Chiarita, e altri ancora; parliamo di navi spaziali (Vimanas), armi che paralizzano (Mohanastra), cannoni ( Agneyastras), carri celesti e ordigni nucleari. Il Mahabharata, ad esempio, descrive minuziosamente i particolari delle macchine volanti, le loro capacità tecniche di volo, i materiali di costruzione, il propellente usato, ovvero il mercurio rosso, un elemento recentemente ritornato alla ribalta e spesso citato anche negli antichi testi alchemici. Come spiegare, ad esempio, la terribile descrizione degli effetti provocati da un ordigno che formò una incredibile nuvola a forma di gigantesco parasole (la nube a forma di fungo tipica dell’esplosione nucleare)? Come spiegare effetti quali cadaveri erano così bruciati da essere irriconoscibili, capelli e unghie cadute, cibi infetti, uomini che corrono per lavarsi e si gettano nei fiumi per evitare di essere contagiati; non sono forse le conseguenze di una esplosione atomica? Non si tratta forse delle stesse tracce di una antica guerra nucleare che si ritrovano in Siberia, in certe parti dell’Asia, in Iraq, nella stessa India, in Colorado, e che gli scienziati da sempre non riescono a spiegare? Come spiegare infine la città di Mohenjo-Daro, risalente al 2500 a.C., nella quale furono ritrovati alcuni oggetti vetrificati, come se fossero stati sottoposti ad un’ondata di calore pari a 1500° centigradi e successivamente ad un subitaneo raffreddamento, ovvero ancora una volta gli effetti che avrebbe una bomba atomica fatta scoppiare al suolo.

4) Che prove abbiamo dal passato della presenza aliena sulla Terra in Cina e Giappone?

Cina e Giappone, per via dei contesti politici e diplomatici, rappresentano ancora un vero mistero da un punto di vista archeologico, ma ancora una volta gli antichi testi risultano illuminanti. In Giappone, il Nihongi, conosciuto anche come Nihon Shoki o Annali del Giappone, rappresenta il secondo libro cronologico relativo alla storia giapponese, una storia che ha inizio nel 10.000 a.C. Proprio in questo libro si trovano i riferimenti a navi celesti e oggetti volanti, ma soprattutto il disegno che illustra un caso avvenuto nel 637, disegno nel quale è perfettamente riconoscibile un Ufo così come viene descritto dai vari testimoni moderni. Da non dimenticare infine i misteriosi Kappas, esseri molto vicini alle tante descrizioni di creature aliene provenienti dalla Mesopotamia, anfibi e rettili allo stesso tempo, che con le antiche cronache condividono l’elemento acqua (vedi l’Oannes e il mito degli Uomini Pesce nella tradizione sumerica oppure i già citati Nommo del popolo dei Dogon. La situazione in Cina è abbastanza simile ma molto più ricca di reperti venuti alla luce durante gli scavi. Non si possono certo non menzionare le famose Piramidi Cinesi, oppure i famosi dragoni volanti che sputano fuoco allo stesso modo di una moderna navicella e così simili alle apparizioni bibliche

5) Che prove abbiamo dal passato della presenza aliena sulla Terra nell’Antico Egitto?

Molto controverso il discorso sull’antico Egitto, non tanto per la mancanza di indizi, quanto per l’estrema commercializzazione che è stata fatta della storia di questo territorio; aggiungiamo a questo il fatto che molti geroglifici, per via degli agenti atmosferici e della cattiva conservazione, sono stati spesso interpretati in maniera erronea.  Di particolare rilevanza risultano comunque gli studi condotti da Robert Bauval, le interpretazioni del Papiro Tulli e le varie controversie in merito alla Piana di Giza, alle Piramidi e alla Sfinge. L’Egitto si pone sicuramente come una via intermedia tra le antiche interazioni (epoca preistorica) e lo sviluppo delle civiltà sulla scorta dei ricordi e di quanto appreso dal contatto con intelligenze aliene. Sappiamo con certezza, nonostante l’archeologia ufficiale continui a negarlo, che la Sfinge venne costruita in epoca precedente rispetto alle Piramidi (studi di John Anthony West e di Robert Schoch, docente presso la Boston University), possiamo inoltre arguire che le Piramidi avevano probabilmente ben altri scopi che non quelli di una mera conservazione delle salme reali, che vennero costruite seguendo antichi riferimenti ingegneristici e in un lasso di tempo ben determinato, superato il quale, inspiegabilmente, gli architetti egizi non furono più in grado di costruirle. Gli stessi Dei egiziani, con le loro forme animali, richiamano alle antiche manifestazioni sulla terra di esseri provenienti da altre realtà, o altri mondi, quasi sempre anfibi o rettili. L’Egitto rappresenta una continuazione di quella tradizione che ricordava e descriveva una presenza aliena sul nostro pianeta, una presenza che interagì a volte profondamente con i suoi abitanti, fornendo a volte spunti e nozioni che favorirono la nascita di alcune civiltà. Gli elementi di accostamento sono molteplici, uno per tutti l’osservazione dei siti di Ollataytambo e di Cuzco, entrambi in Perù, e la successiva comparazione con le anomalie riscontrabili negli enormi blocchi che costituiscono l’Osireion in Egitto. John Anthony West, ad esempio, ha dimostrato che il basamento sul quale poggia l’Osireion è in realtà il limo del Nilo, calcificato e condensato. Un calcolo temporale pone questo tipo di inondazioni in periodi antecedenti al 9.000 a.C., più precisamente intorno al 10.000; dovremmo quindi trovarci di fronte ad un monumento databile intorno al 12.000 o 11.000 a.C., un periodo durante il quale la civiltà egizia, in base ai resoconti ufficiali, non avrebbe potuto costruire una tale opera, ma che si adatta perfettamente alle “cronache aliene” menzionate negli antichi testi dei quali ho già parlato.

6) Che prove abbiamo dal passato della presenza aliena sulla Terra in Europa?

La presenza aliena in Europa, ancora una volta, poggia le sue basi sulla rilettura delle antiche cronache e su quelle costruzioni che, in qualche modo, mettono in dubbio le reali conoscenze nel tempo antico. La nostra storia non può certo vantare cronache così antiche come quelle appena descritte, nonostante ciò anche in Europa, e nel bacino del Mediterraneo, si registra la presenza di pitture rupestri “particolari”, alcune delle quali risalgono a 40.000 anni fa; di particolare importanza quelle della grotta di Pair-Non-Pair (Gironda) e di La Mouthe (Dordogna), oltre le già citate pitture di Altamira (Spagna). In ogni caso la storia europea ha seguito un percorso decisamente diverso rispetto a quella orientale o di altre antiche civiltà, un percorso costellato da innumerevoli flussi e reflussi; gli antichi greci (VI secolo a.C.) e ancor prima la Mesopotamia, parlavano di una terra sferica, concetto che in Europa venne poi ribaltato per poi essere ripreso. Lo stesso accadde con la scienza, sempre i greci parlavano di microbi e virus, concetti che poi caddero nell’oblio per riapparire in seguito come una fantastica scoperta. Allo stesso modo in tutta Europa, l’idea di una interazione extraterrestre è stata nel tempo assorbita dalla religione, fino a diventare mito o addirittura argomento vicino alla demonologia e all’eresia. In ogni caso l’idea di una pluralità di mondi abitati non è del tutto assente ed è riscontrabile nei filosofi greci quali Anassagora e Metrodoro di Chio.

7) E in Italia?

Ho già citato le grotte della Valcamonica, alle quali si dovrebbe aggiungere il misterioso Monte Musinè in Piemonte. Anche per quel che riguarda l’Italia vale lo scenario appena esposto e relativo alla situazione europea. Tralasciando le cronache ufologiche recenti, rimangono in Italia i misteri relativi ad opere architettoniche che richiamano a quella che potremmo definire una antica conoscenza, unica e condivisa nel tempo. Un esempio in tal senso sono le famose “città cosmiche del Lazio” intorno alle quali si svolge una storia del tutto simile alle antiche cronache di divinità di chiara origine extraterrestre. Il riferimento va al basso Lazio, anticamente conosciuto come “Saturnia Tellus”, la terra di Saturno. Si narra che questo territorio, ancor prima di Saturno, fosse abitato da Giano, il famoso dio bifronte, il quale ospitò Saturno dopo che questi venne spodestato da Giove. Saturno portò in Italia l’arte dell’agricoltura e, secondo la narrazione, instaurò l’Età dell’Oro. Sempre secondo la tradizione fu proprio lui a fondare le antiche città della ciociaria, costruzioni dall’aspetto titanico le cui mura sono sostenute dal loro stesso peso, che da Palestrina arrivano fino a Teano, e che ricordano molto da vicino le immense costruzioni sud americane, sumere ed egiziane. Questa storia, in fondo, è sempre la stessa, quella narrata dalle antiche cronache di ogni civiltà e relativa ad una divinità discesa dal cielo (a volte inspiegabilmente, altre a bordo di un mezzo volante) che istruisce l’umanità.

8) Chi sono quindi questi misteriosi visitatori?

Per rispondere a questo quesito è opportuno sottolineare il concetto relativo al temine alieni. Con questo vocabolo, spesso abusato così come per quel che riguarda Ufo e Ufologia, si intende prevalentemente descrivere esseri provenienti da altri mondi; in realtà il termine Alieno, dal latino alienus, identifica qualcosa che appartiene ad altri, un estraneo, uno straniero che a volte viene visto anche come un nemico, ma assume il significato di extraterrestre soltanto se lo poniamo in relazione con questo tipo di dimensione. Dire che in passato intelligenze aliene abbiano visitato il nostro pianeta può assumere quindi due diversi significati, non per questo contrastanti tra loro, quello di una interazione proveniente da altri mondi e quello di una interazione con personaggi sopravvissuti ad una catastrofe. Cerco di spiegarmi meglio: la nostra concezione del tempo è di tipo lineare, tanto per intenderci si tratta della classica linea continua sulla quale, nei libri di storia, vengono evidenziate le varie fasi della crescita e dell’evoluzione dell’uomo. In realtà questo tipo di concetto non è stato sempre uguale nei millenni, mentre oggi risulta abbastanza comodo per divulgare la concezione ortodossa della storia. Gli antichi popoli, in particolare quelli del sud America, adottavano invece un concetto diverso, un concetto circolare all’interno del quale il tempo era un continuo divenire. Questa ipotesi implicherebbe un pianeta terra nel quale numerose ere si sono avvicendate, oltre che il ragionevole dubbio che alcuni sopravvissuti abbiano potuto irradiare il loro sapere alle civiltà successive crollate nel buio dell’ignoranza. Lo scenario, per quanto possa apparire fantastico, non lo è del tutto; proviamo ad immaginare un improvviso black out delle comunicazioni, l’esaurimento delle risorse energetiche o una devastante guerra nucleare; il mondo piomberebbe nel caos, regredirebbe, e in breve tempo ritornerebbe all’età della pietra. In questo contesto potrebbero essere nati alcuni dei misteriosi “visitatori” ricordati dalle cronache antiche, sopravvissuti a quella che possiamo ricordare come uno degli ultimi avvicendamenti temporali (il diluvio universale) e identificabili in Mercurio (il messaggero), Toth, il Serpente Piumato, e altri ancora. Ovviamente questo tipo di ragionamento non esclude una antica presenza aliena sul nostro pianeta, tenta soltanto di trovare un filo conduttore che possa unire le varie vicende, distinguendo tra “viaggiatori” umani, ma alieni alla civiltà del periodo nel quale si presentarono, e “viaggiatori” con tratti e caratteristiche non di questo mondo (l’Oannes sumero, i Nommo dei Dogon, gli Anunnaki).

Roberto, ti ringrazio per averci aiutato a comprendere meglio il prezioso lavoro da te svolto.

Grazie a te e alla Redazione dell’Altra Pagina.

 

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