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recupero-creditiAvvocato del Foro di Milano, operante principalmente nel settore immobiliare, appalti, condominio.

Avv. Fracchia, qual è la Sua opinione sull’istituto della mediazione civile nello scenario della gestione stragiudiziale e giudiziale delle controversie in Italia? Quali sono, a Suo modo di vedere, i punti di forza e di debolezza di questo istituto, da alcuni mesi a questa parte sempre più utilizzato nel nostro Paese?
Il maggior punto di forza che io vedo nell’istituto della mediazione è quello di sopperire alle lungaggini della giustizia italiana ed alla sempre minore affidabilità dei risultati giudiziari, con necessità di ulteriori impugnazioni e proliferazione dei gradi di giudizio. Le aziende, soprattutto in periodo di crisi economica e di restrizione del credito bancario, debbono poter stabilire i tempi nei quali otterranno soddisfazione dei propri crediti.
La mediazione, se portata a termine, consente al creditore di ottenere un titolo immediatamente esecutivo in un lasso di tempo del tutto ragionevole (tre mesi, dall’avvio della procedura). Se la mediazione non va a buon fine entro tre mesi, nulla impedisce all’impresa di adire la giustizia.
Se è vero che la mediazione costringe normalmente l’azienda a dover concedere alla propria controparte inadempiente una dilazione di pagamento, affrontando spese di procedura che, il più delle volte, rimangono a suo carico, ottiene comunque il risultato di poter agire direttamente in executivis nei confronti della controparte qualora quest’ultima non si attenga all’accordo raggiunto in mediazione.
Infine, nel corso del procedimento di mediazione, la parte istante viene comunque a conoscere notizie che mai avrebbe ottenuto nell’ambito di un normale procedimento giurisdizionale, totalmente “schermato” dalla presenza in giudizio dei soli avvocati. Trattasi di informazioni che possono a volte aiutare l’azienda a conoscere meglio la sua controparte contrattuale, di cui ignora magari alcune potenzialità o necessità, offrendole magari nuovi prodotti o servizi.
La debolezza dell’istituto consiste nel fatto che non si tratta di una procedura veramente “obbligatoria” ai fini della procedibilità della successiva fase giudiziale in quanto la parte ‘convenuta in mediazione’ (anche quella obbligatoria ex lege) può facilmente sottrarsi al procedimento constatando come i giudici – per quanto si è potuto osservare sino ad oggi – non adottino (tranne in rari casi) le sanzioni pecuniarie previste dalla legge se non nella fase finale della causa, ossia a distanza di “anni” dall’instaurazione del giudizio.
Inoltre la fase iniziale del procedimento, com’è attualmente congeniata dalla legge entrata in vigore lo scorso 20.9.2013, dovrebbe essere totalmente gratuita per le parti al fine di invogliarne la partecipazione (la retribuzione degli organi di mediazione, per questa fase iniziale, dovrebbe essere a totale carico del Ministero della Giustizia che comunque ottiene un notevole risparmio di costi da un procedimento di mediazione che prosegue nella fase successiva).

Secondo Lei, visti con gli occhi di un avvocato che assiste il proprio cliente nell’ambito di un procedimento di mediazione, quali sono le qualità ed i requisiti di cui un mediatore deve essere dotato affinché possa essere di concreto aiuto per le parti al fine di raggiungere un accordo conciliativo?
Il mediatore deve essere un buon conoscitore della materia che viene in discussione, dal punto di vista giuridico: come il medico, deve cioè essere in grado di fare una prognosi di quelle che sarebbero le conseguenze giuridiche alle quali ciascuna delle parti andrebbe in contro qualora affrontasse il successivo giudizio dinnanzi al giudice. Solo in quel caso il mediatore è in grado, da un lato, di richiamare all’attenzione di ciascuna delle parti i rischi che questa corre nel non voler trovare una soluzione al contenzioso in atto, e dall’altro offrire un soppesato “baratto” delle ragioni effettive di ciascuna parte con altri benefici, utilità, vantaggi che magari nulla c’entrano con la lite in corso ma che possono garantire un ‘ristoro per equivalente’.
Inoltre, se il mediatore non padroneggia bene la materia dibattuta tra le parti, rischia di suggerire o di avallare soluzioni proposte da una delle parti addirittura contra legem, incorrendo in responsabilità deontologica.

Secondo la Sua esperienza, quali controversie si prestano ad essere gestite con successo nell’ambito del procedimento di mediazione?
Sicuramente tutto ciò che ruota intorno al recupero crediti, in qualsiasi settore.
Anche le liti successorie.
Non mi convince invece la mediazione nel ramo dei diritti reali e nel condominio, essendo in questi settori implicate questioni giuridiche che difficilmente possono essere oggetto di “transazione”.

Nell’ambito della Sua professione è in contatto con imprenditori ed aziende di grande importanza nel tessuto imprenditoriale milanese e lombardo. Pensa che la mediazione civile possa rappresentare uno strumento di concreto interesse ed aiuto per le imprese nell’attuale contesto economico e giudiziario?
Sicuramente sì, a patto che i mediatori siano persone veramente preparate professionalmente.
Alla fine di ogni procedimento, ho sempre notato che il cliente/imprenditore esprimeva apprezzamenti (positivi, ma spesso anche negativi) sulla conduzione della mediazione da parte del mediatore. Se si vuole garantire un’espansione all’istituto, occorre insistere sulla compilazione della scheda di apprezzamento del mediatore da parte delle parti, alla fine di ogni mediazione, e fare poi una seria selezione dei mediatori sulla base del gradimento manifestato dalle parti.

Avvocato, crede si possa affermare che oggi le imprese, grazie alla mediazione civile, possono disporre di uno strumento ulteriore per tutelare i propri interessi?
Sicuramente sì, come ho già detto prima, in termini di celerità della soluzione delle controversie, a fronte di un malfunzionamento della giustizia civile al quale lo Stato italiano mostra chiaramente di non voler porre rimedio.

Secondo Lei, ha senso che innanzi ad un credito liquido, certo ed esigibile, possa essere percorsa la strada della mediazione civile anziché avviare immediatamente un’azione giudiziaria, considerando che si può ricorrere al giudice per ottenere l’emissione di un decreto ingiuntivo?
Certamente sì: dal 2006 ho smesso di depositare ricorsi per decreto ingiuntivo per crediti liquidi ed esigibili e ho sempre optato per l’azione ordinaria con immediata richiesta in citazione di emissione di ordinanza ex art. 186 ter c.p.c..
E ciò soprattutto quando il credito era liquido ed esigibile. In questi casi, se il debitore non paga spontaneamente dopo il sollecito del creditore, è solo perché vuole prendere tempo, farsi finanziare dal creditore anziché ricorrere al credito bancario.
In quest’ottica, l’ingiunzione di pagamento darà il destro al debitore per proporre una pretestuosa opposizione a decreto ingiuntivo nella quale sarà lui a calendarizzare, a sua totale discrezione, la data di prima comparizione onde guadagnare altro tempo.
Oggi con la riforma dell’art. 645 c.p.c. (tramite ll’art. 78 del D.L. 21 giugno 2013, n. 69. applicabile dal 22 giugno 2013), questo rischio può essere (sulla carta) maggiormente scongiurato, ma non è detto che alla prima udienza il creditore riesca ad ottenere la provvisoria esecutorietà del decreto, trattandosi comunque di un provvedimento discrezionale del giudice.
Se si considera che, nel tempo che è materialmente necessario al creditore per: a) depositare ed ottenere un decreto ingiuntivo ; b) attendere il decorso dei 40 giorni previsti per l’opposizione del debitore; c) attendere la data della prima udienza di comparizione nel giudizio di opposizione intentato dal debitore, subendo comunque l’alea di NON ottenere dal giudice l’ordinanza di provvisoria esecutorietà, è ampiamente possibile esperire un procedimento di mediazione con la prospettiva di uscire da quel procedimento con un titolo definitivamente esecutivo, mi pare che la strada della mediazione sia sicuramente da percorrere, rivolgendosi (in caso di fallimento della mediazione) direttamente all’azione ordinaria e non a quella monitoria.

Dalle statistiche emerge che sempre più avvocati, ma anche commercialisti e tributaristi, “accompagnano” i propri clienti in mediazione nell’ambito di controversie commerciali e societarie quali il recupero crediti, le controversie fra soci e recessi, l’affitto d’azienda, la gestione delle delicate fasi di passaggio generazionale nelle imprese di impronta famigliare. Qual è il Suo pensiero a riguardo?
È assolutamente corretto che le parti siano assistite da professionisti anche nell’ambito della mediazione e non solo dinnanzi al giudice, e questo in qualunque settore.
Le parti in genere conoscono poco o nulla degli aspetti giuridici che regolano i loro interessi. Ora, dal momento che l’accordo che sottoscrivono è, in definitiva, un vero e proprio contratto, pare doveroso garantire alle parti il fatto che non si vedano invischiate in ulteriori contenziosi.
Intendo dire che un accordo di mediazione mal concepito o mal redatto sfocerà quasi sicuramente in un ulteriore contenzioso, portando così allo stesso risultato pratico (la lite giudiziaria) che le parti si prefiggevano di evitare ricorrendo alla mediazione.
La presenza dei professionisti dovrebbe proprio garantire ai clienti che l’accordo raggiunto abbia una “tenuta” effettiva e risolutiva.

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