di Giovanni Reho – Uno dei più grandi fisici viventi, Federico Faggin, è nato a Vicenza nel 1941. Ha conseguito la laurea in Fisica all’Università di Padova nel 1965 e tre anni dopo si è trasferito nella “Silicon Valley”, in California per lavorare alla Fairchild Semiconductor.
In quegli anni, si deve a Faggin lo sviluppo della tecnologia MOS con gate di silicio (l’anticamera dei microprocessori), delle memorie non volatili e dei sensori d’immagine CCD, cioè i componenti chiave della rivoluzione informatica.
Bill Gates disse del fisico italiano: “era una semplice valle, con Federico Faggin è diventata la Silicon Valley”.
Nel 1970, Federico Faggin progetta per l’Intel il primo microprocessore al mondo. Qualche anno dopo per la Zilog, azienda da lui fondata, inventa e realizza lo Z80-CPU, il microprocessore tra i più venduti al mondo tutt’ora in produzione. Con la Synaptics, nuova azienda avviata da Faggin negli anni Ottanta, oltre a sviluppare i primi Touchpad e Touchscreen, intuisce l’importanza delle reti neurali artificiali e sviluppa i chip analogici che emulano le reti neurali umane utilizzando transistori a porta flottante. Gli esperti di intelligenza artificiale la considerarono una pessima idea che qualche decennio dopo si rivela invece una tra le scoperte più rivoluzionarie dell’attuale sistema tecnologico e informatico.
Tra le varie onorificenze, Il 19 ottobre 2010 Faggin ha ricevuto la Medaglia Nazione per la Tecnologia e l’Innovazione dal presidente americano Obama.
All’età di quarant’anni, dopo ogni successo sperato, Faggin comprende, come lui stesso affermerà più tardi, di aver “cercato la felicità fuori di me”. Sino a quel momento era stato fermamente convinto che la felicità dipende da ogni cosa che il mondo pretende da noi. Era stato prigioniero di una “trance ipnotica”. La visione competitiva e consumistica che domina la nostra società aveva impedito la “connessione con la sua realtà interiore… ero caduto nella trappola in cui cade la maggior parte di noi” (Federico Faggin, Irriducibile. La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura. 2022, Mondadori).
La confusione tra felicità immaginaria e felicità reale gli procurava uno stato inarrestabile di irrequietezza e di ansia mentale, sino a quando, giunto il momento in cui ogni traguardo sembrava ormai superato, iniziò ad avvertire un invincibile bisogno di guardarsi dentro, trovando “una profonda sofferenza che fingevo di non provare”.
Nel suo ultimo libro, Faggin cita un aforismo di Simone Weil: “la sofferenza è una porta che possiamo scegliere di attraversare, e allora impariamo qualcosa, oppure rifiutare di aprire, e allora non si aggiunge niente, anzi ci sottrae tutto”.
Quella porta è stata aperta con forza “alla ricerca della verità” e come afferma l’Autore “a furia di riflettere, intuii che la causa della mia disperazione era collegata con il mistero della coscienza”.
Lo scienziato, dal corridoio della scienza aveva aperto la porta della coscienza e, dopo un’intera vita dedicata ai microprocessori, si rende conto di essere incappato in un ostacolo insormontabile.
Un computer manca in modo assoluto della capacità di comprensione della natura dei sentimenti e delle emozioni, quella che la filosofia definisce qualia.
Dopo anni di studi e ricerche avanzate, Faggin conclude che nell’essere umano esiste qualcosa di irriducibile che nessuna macchina è in grado di replicare.
“Per anni ho inutilmente cercato di capire come la coscienza potesse sorgere da segnali elettrici o biochimici, e ho constatato che, invariabilmente, i segnali elettrici possono solo produrre altri segnali elettrici o altre conseguenze fisiche come forza o movimento, ma mai sensazioni o sentimenti, che sono qualitativamente diversi … È la coscienza che capisce la situazione e che fa la differenza tra un robot e un essere umano … In una macchina non c’è nessuna ‘pausa di riflessione’ tra i simboli e l’azione, perché il significato dei simboli, il dubbio, e il libero arbitrio esistono solo nella coscienza di un sé, ma non in un meccanismo”.
I computer si limitano ad un’elaborazione simbolica e algoritmica, mentre l’elaborazione possibile alla persona umana comprende anche quella semantica, cioè del significato di ciò che facciamo, che è alla base della nostra esperienza vissuta.
Si tratta di una distinzione fondamentale non sempre pienamente compresa, in quanto scienza e tecnologia tendono ad enfatizzare solo l’aspetto simbolico e meccanico della realtà.
Un computer può utilizzare le reti neuronali artificiali ma il suo comportamento è e sarà sempre meccanico senza possibilità di accesso alla comprensione e alla creatività di cui è in grado la specie umana. Esiste indubbiamente una complementarità tra intelligenza umana e intelligenza artificiale e questo spiega perché una macchina può avere performance meccaniche di gran lunga superiori a quelle umane.
In altri termini, i computer sono strutture fisiche alle quali abbiamo trasferito una parte della nostra mente sotto forma di programmi, i quali tuttavia rappresentano solo l’aspetto simbolico (si pensi ad esempio ai simboli matematici) ma sono del tutto privi del contenuto semantico (cioè legato al significato) e, come afferma Faggin, del libero arbitrio, elementi che contraddistinguono soltanto la persona umana.
“I computer sono nostre creazioni dotate soltanto della parte algoritmica della nostra essenza. Ecco perché non siamo computer, ma creatori di computer. La nostra coscienza è la nostra vera ricchezza, perché è ciò che ci permette di comprendere”.
Nel suo libro, quando parla di coscienza, Faggin cita Dante e spiega come essa è quella parte di noi “che vive e sente e sé in sé rigira”. La coscienza non si limita alla cieca traduzione di segnali privi di significato in altrettanti segnali della stessa natura. Essa è invece un’esperienza senziente che ci consente di percepire e comprendere il significato della realtà fisica, delle emozioni e dei pensieri.
Per queste ragioni, secondo Faggin, una macchina non è dotata di vera intelligenza, la quale non consiste solo nella capacità di calcolare ed elaborare dati.
La vera intelligenza non è algoritmica, ma è la capacità di comprendere di “leggere dentro”, di capire in profondità e di trovare connessioni insospettate tra scibili diversi.
“La vera intelligenza è intuizione, immaginazione, creatività, ingegno e inventiva. È lungimiranza, visione e saggezza. È empatia, compassione, etica e amore”.
L’intelligenza è la capacità di integrare tra loro mente, cuore e azione.
Le macchine non possiedono queste componenti e non possono integrarle tra loro. Ove ne fossero capaci, come afferma Faggin, potrebbero essere molto pericolose, perché possono funzionare perfettamente ma senza capire.
L’autore di Irriducibile usa un esempio molto chiaro e spiega come anche nell’uomo, quando la coscienza è completamente identificata con il corpo e la mente logica le sue potenzialità creative sono molto ridotte se non del tutto inutilizzate, con il risultato che il suo comportamento è del tutto meccanico come quello di un computer.
Faggin avverte inoltre la responsabilità di sottolineare che se una macchina è lasciata operare completamente da sola gli esiti potrebbero essere catastrofici.
“Dobbiamo stare attenti ai pericoli rappresentati dall’abuso umano della tecnologia informatica” che porterà alla ribalta (citando il fisico matematico Roger Penrose) “nuovi pericoli difficili da prevedere e da evitare”.
“Non c’è dubbio che il pericolo più grande è rappresentato dalla brama di potere, di dominio, di possesso e di superiorità che ottunde le coscienze” e richiamando il discordo finale di Charlie Chaplin nel film Il grande dittatore, Faggin ricorda come noi esseri umani “pensiamo troppo e sentiamo poco” e senza umanità, bontà e gentilezza la vita è violenza.
Giovanni Reho
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