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di Avv. Giovanni Reho e Avv. Laura Summo – L’art. 1063 c.c. dispone che l’estensione e l’esercizio delle servitù sono regolati dal titolo costitutivo e, in mancanza, dalle disposizioni previste agli articoli successivi.

La norma deve essere letta sistematicamente con l’art. 1065 c.c. che dispone nella prima parte che colui che ha un diritto di servitù non può farne uso se non nel rispetto del suo titolo o del suo possesso.

Una recente ordinanza della Corte Suprema di Cassazione, Sez. II, n. 30274 del 25.11.2024, nel richiamare i principi di cui agli artt. 1063 e seguenti del Codice civile, ha ribadito preliminarmente come la fonte regolatrice primaria del diritto sia anzitutto il suo titolo costitutivo, pur tenendo conto la comune intenzione delle parti. Quest’ultima dovrà considerare il tenore letterale delle espressioni utilizzate per la costituzione del diritto oltre ad ulteriori elementi di fatto quali lo stato dei luoghi, l’ubicazione reciproca dei fondi e la loro naturale destinazione nonché tutti gli elementi formativi e caratterizzanti l’utilitas legittimante la costituzione della servitù.

La sentenza in commento ribadisce come i criteri di cui agli artt. 1064 e 1065 c.c. rivestano un ruolo sussidiario ed è possibile ricorrervi solo quando il titolo manifesti contraddizioni non superabili. Sussiste, infatti, una vera e propria graduatoria delle fonti regolatrici dell’estensione e dell’esercizio delle servitù, per cui il riferimento principale deve essere costituito dal titolo mentre i criteri di cui all’art. 1064 e 1065 c.c. potranno essere impiegati in via sussidiaria quando le lacune e le imprecisioni del titolo costitutivo non possono essere superate con l’utilizzo dei generali criteri ermeneutici.

Sul punto, la giurisprudenza è pressoché unanime confermando la decritta impostazione con orientamento costante (in tal senso, Cass., Sez. 2, 11/6/2018, n. 15046; Cass., Sez. 2, 23/3/2017, n. 7564; Cass., Sez. 2, 12/1/2015, n. 216; Cass., Sez. 2, 16/8/2012, n. 14546; Cass., Sez. 2, 6/2/2009, n. 3030; Cass., Sez. 2, 10/5/2004, n. 8853; Cass., Sez. 2, 7/6/2002, n. 8261; Cass., Sez. 2, 7/8/1995, n. 8643; Cass., Sez. 2, 18/8/1981, n. 4662).

L’art. 1064 c.c. contempla il criterio sussidiario per il regolamento del diritto di superficie conosciuto come “adminicula servitutis”, secondo il quale “il diritto di servitù comprende tutto ciò che è necessario per usarne” ovvero include nel suo contenuto le facoltà accessorie necessarie all’esercizio del diritto stesso. In questo modo, nel contenuto unitario del diritto di servitù è ricompreso dal lato attivo ogni ulteriore diritto connesso all’esercizio della servitù stessa e dal lato passivo corrisponde l’onere gravante sul proprietario del fondo servente. I due aspetti sopra descritti, precisa la Corte di Cassazione, seppure variabili nel loro contenuto poiché mutano a seconda del tipo di servitù e alle effettive esigenze, non costituiscono elementi strutturali del vincolo e per tale ragione non hanno carattere autonomo, dovendo essere necessariamente riferite alla servitù alla quale ineriscono.

Il secondo criterio è enunciato dall’art. 1065 c.c. ed è quello del cosiddetto “minimo mezzo”, che prevede che ove le fonti del diritto di servitù non siano di agevole interpretazione con riferimento alle modalità di esercizio e alla sua estensione, la servitù stessa dovrà essere esercitata nel rispetto del minore aggravio possibile per il proprietario del fondo servente. Trattasi di un criterio oggettivo cui il giudice deve ricorrere in ipotesi di confusione o dubbio interpretativo sul titolo costitutivo.

Da ultimo, l’ordinanza in commento non riconosce l’acquisto per usucapione della servitù cosiddetta “non apparente” ai sensi dell’art. 1061 c.c.. Si ribadisce, infatti, come in assenza di opere visibili che provino l’esercizio di una servitù in maniera stabile e continuata nel tempo, il diritto non può essere acquistato per usucapione ventennale né per destinazione del padre di famiglia.

Un aggiornamento giurisprudenziale recente che conferma e contestualizza i principi enunciati dal nostro codice, chiarendo le fonti primarie del diritto di servitù e l’applicabilità dei criteri sussidiari interpretativi.

Avv. Giovanni Reho – Avv. Laura Summo

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