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renzi6(di Giulio Perrotta) – L’art. 24 del D.L. 6 Dicembre 201, detto “Salva Italia”, definito anche “Riforma delle Pensioni Fornero, dal nome del Ministro del Lavoro in carica, ha regalato agli italiani, poco prima delle vacanze natalizie, una serie di belle sorprese, procrastinando l’ingresso alla pensione in alcuni casi anche di otto anni. In sostanza, la norma modificava una serie di rapporti giuridici tra i cittadini lavoratori e gli enti previdenziali: per ridurre la spesa pubblica, si decise di incidere sull’età pensionabile e sui requisiti di legge per impedire sovraccarichi all’apparato statale. Praticamente, la Fornero ha agganciato l’età anagrafica di pensionamento all’aspettativa di vita: pertanto, più aumenta la speranza di vita, maggiore è l’età anagrafica richiesta. Inoltre, ha agganciato l’età contributiva, sovvertendo il sistema pensionistico ante 1995.

Per riordinare la materia pensionistica e riequilibrare le sorti di un paese sempre più vecchio e privo di posti di lavoro per i giovani disoccupati, il Governo Renzi, per esser sinceri in maniera goffa, sta pensando di tornare sul punto, creando una certa “flessibilità in uscita”, favorendo così i soggetti adulti prossimi alla maturazione dei requisiti di legge pre-Fornero di poter ottenere quello che ingiustamente gli è stato tolto. Almeno in apparenza; pare, infatti, che la precisa volontà politica dell’attuale Governo non sia quello di essere ma di apparire, far credere (quindi) di voler intervenire sul problema senza mai farlo perché gli emendamenti dell’opposizione bloccano i tempi burocratici.

Nel dettaglio, le proposte di modifica della Riforma Fornero sono cinque:

a) fissando l’età pensionabile a 65 anni, si potrebbe andare in pensione già a 62, purché vi siano almeno 35 anni di contributi e rinunciando al 2% sull’assegno pensionistico per ogni anno anticipato;

b) chi è vicino all’età pensionabile, decide di lavorare part-time, agevolando l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro (c.d. staffetta generazionale);

c) proroga dell’”opzione donna”, che permette alle sole donne di andare in pensione a 57 anni e 35 anni di contributi, ma con una decurtazione dell’assegno pensionistico del 30-35%;

d) quota 100, frutto della somma tra età anagrafica ed età contributiva;

e)  ricalcolo con il sistema contributivo, che impone una riduzione di 1/3.

E’ evidente che l’anticipo con taglio sembra essere più pratico per il Governo ma meno conveniente per il cittadino, mentre è sostanzialmente impraticabile la staffetta generazionale.

La “quota 100”, invece, sembra giuridicamente più equa, senza obbligare il cittadino ad accettare una decurtazione dell’assegno pensionistico di 1/3!

Giulio Perrotta

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