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Andrea Sirotti Gaudenzi, avvocato e docente universitario, offre ai lettori de L’AltraPagina.it un primo esame della sentenza della Corte costituzionale che ha rilevato solo un «eccesso di delega» da parte dell’Esecutivo.

di Andrea Sirotti Gaudenzi – Dopo settimane dal surreale «comunicato stampa» del 24 ottobre, la Consulta ha depositato il testo della sentenza relativa alla mediazione delle controversie.

Il primo dato che risulta chiaramente è legato alla conferma di quanto già letto nel comunicato: l’unico «vizio» presentato dal d. lgs. n. 28/2010 è rappresentato dall’eccesso di delega in cui l’Esecutivo è incorso nel prevedere una forma di mediazione «obbligatoria».

Purtroppo, bisogna riconoscere che il testo del provvedimento è sotto certi aspetti sorprendente, dato che il vizio formale rilevato dalla Corte ha -di fatto- abbattuto gran parte dell’impianto del d. lgs. n. 28/2010, travolgendo alcune disposizioni che non sono necessariamente connesse all’«obbligatorietà».

Basti pensare che viene eliminato in un sol colpo l’ultimo comma dell’art. 8 del decreto (oggetto, peraltro, di recente rivisitazione da parte del legislatore), che prevedeva che dalla mancata  partecipazione  al procedimento di mediazione il  giudice  potesse desumere  argomenti  di prova nel successivo giudizio, disponendo altresì specifiche sanzioni per chi non avesse preso parte al procedimento di mediazione «senza giustificato motivo».

L’art. 13 (dedicato alle ripercussioni della mancata accettazione della «proposta conciliativa» sulle spese processuali) viene quasi completamente cancellato, dato che si mantiene in vita solo un segmento incolore e privo di reale significato.

Tuttavia, al di là di questi rilievi, appare evidente che l’unica censura mossa alla disciplina da parte della Consulta è proprio il vizio formale. E la Corte non avrebbe potuto fare altrimenti.

Qualche improvvisata Cassandra sosteneva che la Consulta avrebbe censurato i costi del procedimento di mediazione e il fatto che la disciplina nazionale consenta anche ai non giuristi di svolgere l’attività di mediatore.

Altri ancora, dopo la diffusione del comunicato stampa, hanno affermato pubblicamente che la previsione della «mediazione obbligatoria» fosse in contrasto con il diritto fondamentale di accesso alla giustizia.

Eppure, nei suoi precedenti la Corte costituzionale ha sempre ritenuto che l’art. 24 della Suprema Carta non possa essere violato dalla previsione di una «condizione di procedibilità». In buona sostanza, il diritto di accesso alla giustizia non viene cancellato dalla presenza di disposizioni che impongano strumenti alternativi di soluzione delle liti, in assoluta conformità a quanto già previsto dalle fonti europee e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia comunitaria.

In altre occasioni ho affermato che la disciplina nazionale non è affatto incompatibile con i principi europei. E sembra che i Giudici costituzionali si siano mossi nella consapevolezza della primauté del diritto europeo sul diritto nazionale.

In questo senso, appare assai significativo che la Consulta tenga in debita considerazione il provvedimento emesso il 18 marzo 2010 dalla Corte di giustizia, in cui si afferma che «non esiste un’alternativa meno vincolante alla predisposizione di una procedura obbligatoria, dato che l’introduzione di una procedura di risoluzione extragiudiziale meramente facoltativa non costituisce uno strumento altrettanto efficace (…)». Nell’occasione la Corte del Lussemburgo ha chiarito che non sussiste una sproporzione manifesta tra l’obiettivo di affermare uno strumento efficace di ADR e «gli eventuali inconvenienti causati dal carattere obbligatorio della procedura di conciliazione extragiudiziale» (Corte Giust., 18 marzo 2010, cause da C-317/08 a C-320/08).

Anche la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo è giunta a conclusioni simili, affermando che i diritti fondamentali non si configurano come prerogative assolute, ma possono essere sottoposti a talune restrizioni, a condizione che queste ultime rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale (C.E.D.U., 21 novembre 2001, Fogarty contro Regno Unito).

E, come rilevato dal Consiglio d’Europa e dalle istituzioni dell’Unione europee, la situazione della giustizia italiana è un problema che oramai investe non solo il nostro Paese, ma rischia di avere ripercussioni sull’intero sistema continentale.

Ebbene, queste sono le considerazioni da cui ripartire, auspicando che le istituzioni nazionali tengano conto degli effetti positivi di una disciplina come quella della mediazione, in grado di migliorare il sistema della giustizia italiana, non solo come misura deflattiva del contenzioso, ma anche come strumento realmente utile a cittadini ed imprese.

Andrea Sirotti Gaudenzi

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