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dell’avv. Paolo Fortunato Cuzzola – In Italia, a partire dal 20 marzo 2011, anche chi ha investito denaro presso una banca o un intermediario finanziario, ottenuto un fido o utilizzato servizi, insoddisfatto del risultato e ritenendosi leso in un suo diritto, prima di adire le vie legali dovrà esperire un tentativo obbligatorio di mediazione davanti ad un organismo accreditato presso il Ministero della Giustizia.

In precedenza, il Legislatore era già intervenuto nella materia dei contratti bancari e finanziari attraverso l’art. 29 della Legge n. 262/05 (c.d. “Legge sul risparmio”) che ha introdotto l’art. 128-bis del T.U.B. che istituisce “procedure di risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari”, demandando al C.I.C.R. (Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio), sentita la Banca d’Italia, la determinazione dei criteri di svolgimento delle procedure conciliative.

Successivamente il C.I.C.R., con delibera n. 275 del 28 luglio 2008, sentita la Banca d’Italia, ha fissato i criteri di svolgimento delle procedure di risoluzione delle controversie e ha istituito l’Arbitro Bancario Finanziario.

Inoltre il Legislatore ha successivamente istituito, attraverso il D.Lgs. n. 179/07, anche il Sistema di conciliazione e arbitrato presso la Consob, con funzioni di amministrazione dei procedimenti per la risoluzione delle controversie tra intermediari ed investitori diversi dai clienti professionali aventi ad oggetto la violazione da parte di questi degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza nei rapporti contrattuali con gli investitori (art. 2, comma 1, D.Lgs. 179/07).

L’affastellarsi in Italia  di vari metodi stragiudiziali di risoluzione delle controversie in campo finanziario è  dipeso dal fatto che nel corso degli anni il legislatore ha disseminato l’ordinamento di norme contenenti tentativi di conciliazione (obbligatori o volontari) e solo nel 2010 ha formulato una disciplina organica, con una abrogazione molto parziale di quella precedente.

Attualmente, in virtù del combinato disposto degli artt. 2, 3 e 5 del D.Lgs 28/2010, nel comparto delle controversie bancarie e finanziarie, sono disciplinati sette diversi metodi di soluzioni stragiudiziali:

–          Il reclamo;

–          La negoziazione paritetica;

–          L’Ombudsman giuri-bancario;

–          La Camera arbitrale e di conciliazione presso la Consob;

–          L’Arbitro Bancario Finanziario;

–          La mediazione amministrata (D.Lgs. 28/2010 e DM 180/2010);

–          Osservatori del credito presso le Prefetture.

Ci sono, inoltre, le procedure relative ai prodotti multi-ramo (combinazione di contenuti assicurativi e finanziari).

Lo scenario, pertanto, si presenta affollato con il rischio di creare disorientamento nei confronti della mediazione.

Le soluzioni quindi sono molteplici, soprattutto in fase preconcorsuale, grazie alle innovazioni introdotte nell’ordinamento giuridico italiano dal 2005 al 2010 e alla notevole flessibilità delle tecniche di mediazione. Questa infatti, come più volte ricordato, non si basa su procedure formali, ma sull’ individuazione e l’analisi degli interessi. La gestione concreta dei purtroppo numerosi casi di crisi aziendali nel periodo che stiamo vivendo farà maturare una adeguata conoscenza di questi strumenti.

Consideriamo una controversia tra cliente e banca sul risultato di un investimento di denaro non andato a buon fine: il cliente afferma di non essere stato adeguatamente informato sui rischi dell’operazione, la banca sostiene il contrario; un giudice potrebbe condannare la banca (se la ritenesse colpevole) a risarcire parte o tutto del danno (ed i rapporti col cliente risulterebbero completamente compromessi); un mediatore, lavorando sugli interessi di entrambe, potrebbe far comprendere loro che la concessione di un mutuo da parte dell’istituto di credito ad un tasso particolarmente contenuto risolverebbe la controversia (ed il rapporto commerciale rimarrebbe in piedi).

Ma l’utilizzo della mediazione nel comparto creditizio non si esaurisce in relazione alle controversie che si instaurano tra banca e cliente per la qualità dei servizi offerti oppure per gli investimenti effettuati. Un altro settore ad alto tasso di litigiosità, in cui si ricorre alla mediazione, riguarda il comparto recupero crediti, un argomento di particolare interesse economico per le banche dopo l’aumento dei crediti a sofferenza causati della grave crisi finanziaria. Ipotizziamo il caso di un cliente affidato da una banca che mostra obiettivi segni di pesantezza finanziaria, per cui l’istituto bancario desidera svincolarsi dal rapporto. Come unica possibilità offre alla controparte un piano di rientro, da ottemperare in un determinato numero di mesi. Ciò andrebbe ad oberare ulteriormente il dissesto finanziario dell’azienda stessa impedendole di superare l’empasse economica. In una procedura di mediazione invece le parti potrebbero accordarsi per un consolidamento del debito, magari assistito da adeguate garanzie, e una limitata operatività dei fidi a breve. Se dopo un periodo di circa sette od otto mesi le vendite dell’azienda riprendono a decollare, il rapporto banca/cliente, non interrotto, può ricevere nuovo vigore.

La mediazione, perciò, ha molteplici elementi a suo favore.

Sapranno le banche italiane cogliere questa ulteriore possibilità per migliorare i loro bilanci e preservare i rapporti commerciali con i clienti?

Avv. Paolo F. Cuzzola

Patrocinante in Cassazione, Mediatore Civile e Familiare, Mediatore Consob, Giudice Arbitro Responsabile Scientifico dell’Ente di Formazione Conciliazione.net.

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