di Giovanni Reho – Sino a non molto tempo fa erano d’esempio i giovani che, dopo la fine dell’anno scolastico, lavoravano per pagarsi le vacanze o aiutare i genitori nella gestione dei costi degli studi universitari. Il lavoro era motivo di orgoglio e fonte di libertà.
Oggi i modelli sono cambiati. È diventata famosa, con migliaia e migliaia di likes, una ragazza “professoressa di corsivo” che non sa chi sia Dante e non ha mai sentito parlare della Divina Commedia.
I social sono lo specchio nel quale molti ragazzi riflettono la propria immagine, secondo l’influenza del modello dominante di turno. In molti casi, rischiano di confondere quello che vogliono essere secondo un proprio progetto personale con il modo in cui devono apparire per piacere agli altri nello specchio omologante dei social.
La patina prevale sul contenuto e l’involucro sulla sostanza. L’immagine riflessa ha sostituito la ricerca della propria identità reale. Quello che gli altri vogliono vedere e giudicare può in molti casi rendere insignificante la conoscenza e la valutazione che si ha di sé stessi.
Quando il modello imperante è quello propugnato dai social, i giovani che scelgono di lavorare, anche solo per garantirsi la soluzione ad una necessità contingente, sono una strettissima minoranza. La loro scelta non è da imitare se non addirittura sdegnosamente da rifiutare.
In questa fase storica si tende ad attribuire la responsabilità al reddito di cittadinanza. È indubbio che tale misura, quando non erogata in favore di soggetti in condizioni di reale vulnerabilità, può favorire l’omologazione al disimpegno o rendere più difficile l’educazione al lavoro e alla responsabilità sociale dei giovani.
Il problema tuttavia ha più cause.
Un tempo, in particolare nel periodo estivo, anche grazie da una diversa educazione familiare, i giovani si spendevano nell’apprendimento di un mestiere. Esperienza di formidabile maturazione che consentiva un piccolo profitto per le necessità personali e il confronto con il mondo reale dell’impegno e del lavoro. Nel mettersi alla prova, molti ragazzi scoprivano le loro reali inclinazione e aprivano la mente a idee, sogni e progetti.
Oggi, nel mondo del lavoro, l’assenza dei giovani è molto avvertita. Dilaga la preoccupazione di artigiani e imprenditori che non possono assicurarsi un ricambio generazionale e rischiano di disperdere per sempre arti e mestieri, tecniche e segreti che avevano favorito in buona parte la ricchezza del nostro Paese.
Nell’agenda della politica manca l’approfondimento delle cause della “fuga” dei giovani dal lavoro e manca una visione reale di recupero di una tale insostituibile risorsa.
La giusta inclusione dei giovani immigrati non può essere la soluzione al disimpegno dal lavoro dei nostri ragazzi. Sarebbe un errore con effetti irreversibile per le future generazioni.
La politica deve avere il ruolo di formare una nuova cultura del lavoro nei giovani, premiando il percorso formativo con crediti derivanti dal curriculum scolastico ma soprattutto dalle esperienze lavorative realmente maturate, attribuendo maggiore valore a quelle più vicine alle conoscenze e culture primarie ed essenziali dell’esistenza umana.
Il futuro non ammette sogni illusori e improbabili imitazioni di magnati della finanza e dell’economia. Il nuovo mondo dei giovani deve riscoprire il contatto e l’osservazione diretta degli elementi essenziali terra, acqua, luce, materie prime e leggi naturali. Ripartendo da tali esperienze, sarà possibile stimolare sensibilità smarrite ed esplorare nuove geniali soluzioni per un futuro sostenibile.
Non sono da sottovalutare i ruoli attuali delle famiglie.
Molti genitori hanno la responsabilità di scelte dei figli erronee, se non anche deraglianti per il loro futuro. In molti casi, basta un giro di “paghe” dai genitori e da ogni altro componente della famiglia allargata per racimolare in pochi giorni un gruzzolo di diverse centinaia di euro. Che bisogno c’è di reperire un lavoro anche per un breve periodo per le proprie necessità?
In alcuni ambiti sociali, i ragazzi sperimentano trasferimenti frenetici estivi da una località mondana all’altra come fossero divi di Hollywood. Dalla montagna, al lago e al mare. Cene nei ristoranti in voga, bottiglie costose, carte di credito, vestiti e accessori firmati. Bello, bellissimo se possibile. Tutti siamo liberi. Con quali soldi? Il denaro dei genitori e quindi con il lavoro degli altri.
Alcuni genitori si lamentano che la scuola, la società e la politica non aiutano i propri figli ad entrare nel mondo del lavoro. Perché loro lo hanno fatto quando avevano ancora il tempo di educarli? Come fa un giovane ad entrare armonicamente nel mondo del lavoro se non ha mai sperimentato l’espediente fondamentale per vivere?
In attesa che politica, società e genitori riflettano sui propri ruoli, può essere utile ricordare che nelle realtà sociali più evolute le strade pulite sono monito a non sporcarle. Si abbia allora il coraggio di far diventare virale il video di giovani bagnini e camerieri che spiegano le ragioni della loro scelta estiva.
Si abbia davvero il coraggio di farlo. Gli regaleremmo tanti, meritatissimi, migliaia di likes?
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