(di Stefano Cera) – La scena è tratta da Ogni maledetta domenica (titolo originale Any given Sunday), film di Oliver Stone del 1999 e con un cast eccezionale da Al Pacino, a Cameron Diaz, da Dennis Quaid, a James Woods e Jamie Foxx, ecc.
E’ un film che racconta la vita, compreso il “dietro le quinte” di una squadra di football americano, in cui spiccano alcuni personaggi, come quello dell’allenatore Tony D’Amato (interpretato da Al Pacino – coach vecchio stile molto stimato nell’ambiente), la presidentessa della squadra (Cameron Diaz) presidentessa che vuole cacciare l’allenatore e rinverdire i fasti del passato. Spicca anche il personaggio interpretato da Jamie Foxx, astro nascente del football ma che ha un carattere ribelle ed un pessimo rapporto con i compagni e che alla fine accompagnerà il coach in una nuova avventura con un’altra squadra.
Questa scena si riferisce al discorso che l’allenatore Tony D’Amato fa alla squadra prima della sfida decisiva per i play-off… Al Pacino inizia dicendo che “o noi risorgeremo come squadra o cederemo, un centimetro alla volta, uno schema dopo l’altro, fino alla disfatta”.
Qui il vecchio allenatore introduce il tema dei “centimetri” per usarlo a mo’ di metafora con l’obiettivo di creare un’analogia tra la vita ed il football e questo sarà uno dei temi ricorrenti del suo discorso. Poi prosegue dicendo che “noi siamo all’inferno e possiamo uscirne solo lottando, scalando le pareti dell’inferno un centimetro alla volta”. “Io però non posso farlo per voi… sono troppo vecchio” e dicendo questo inizia, con tono basso, accorato, a parlare di sé stesso, delle occasioni che ha perso nella vita e degli errori che ha fatto (“ho sperperato tutti i miei soldi…”, “ho cacciato via tutti quelli che mi volevano bene… e da qualche anno mi da anche fastidio la faccia che vedo nello specchio”).
E poi continua riprendendo a parlare dei “centimetri” dicendo che, appunto, “la vita è un gioco di centimetri e così è il football”, perché in entrambi “il margine di errore è ridottissimo”. Ma la cosa importante è che c’è sempre un’opportunità, non bisogna mai abbattersi, “perché i centimetri che ci servono sono dappertutto, ce ne sono in ogni break della partita, ad ogni minuto, ad ogni secondo”.
Ed è per questo che, dopo aver parlato delle opportunità, alzando il tono di voce, comincia a focalizzare l’attenzione sul gruppo sulla necessità di collaborare per arrivare al raggiungimento dell’obiettivo. “In questa squadra si combatte per un centimentro… in questa squadra massacriamo di fatica noi stessi e tutti quelli intorno a noi, per un centimetro, ci difendiamo con le unghie e con i denti per un centimetro…” e, ormai consapevole che ha il pieno controllo dello stato emotivo della squadra e che sono pronti, psicologicamente ed emotivamente, all’impegno, afferma con tono determinato “perché sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri, il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta, la differenza tra vivere e morire…”.
E, uscendo nuovamente dalla metafora del football per parlare della vita e di quali sono gli obiettivi come essere umani, dice “e io so che se potrò avere un’esistenza appagante, sarà perché sono disposto ancora a battermi e a morire per qual centimetro… la nostra vita è tutta lì, in questo consiste… è in quei dieci centimetri davanti alla faccia…”.
Ma attenzione, nessuno può imporre comportamenti agli altri, perché ognuno di noi sceglie liberamente cosa fare, se sentirsi parte di un gruppo e se collaborare o meno con gli altri componenti della squadra. Infatti prosegue dicendo “io non posso obbligarvi a lottare, dovete guardare il compagno che avete accanto, guardarlo negli occhi, scommetto che ci vedrete un uomo determinato a guadagnare terreno con voi… vedrete un uomo che si sacrificherà volentieri per questa squadra, consapevole del fatto che quando sarà il momento voi farete lo stesso per lui… Questo è essere una squadra signori miei…”.
Ed è a questo punto che l’allenatore riprende il concetto espresso all’inizio del discorso, la riletto in una chiave di contrapposizione tra sforzo individuale e beneficio collettivo: “o noi risorgiamo adesso, come collettivo, o saremo annientati individualmente…”.
Ed è in questo momento che Tony D’amato/Al Pacino da il meglio di sé perché chiude il cerchio della sue considerazioni e della metafora vita/football affermando che la cosa, in fondo, è molto semplice… “E’ il football ragazzi, è tutto qui…”. Si tratta solo di crederci e, soprattutto, di sentirsi squadra, collaborando gli uni con gli altri.
Siamo ormai arrivati alla fine del discorso ed è a questo punto che il coach fa la domanda che più retorica non potrebbe essere, ma fondamentale, per capire se la squadra ha raccolto il suo invito e lottare per arrivare a centrare l’obiettivo: “Allora, che volete fare?”. Non c’è una risposta, nel senso che ognuno dei componenti della squadra risponde con quello che sembra un vero e proprio grido di guerra e tutti escono dalla stanza non vedendo l’ora di affrontare l’avversario…
Dopo questa scena che dire? Che dopo aver sentito un discorso del genere, dateme un pallone, un gruppo di amici e un avversario che la vittoria è assicurata… se non altro l’impegno a lottare fino alla fine per raggiungere il risultato.
Faccio un’analogia con il calcio, visto che sono tifoso di una squadra, la Roma che quest’anno ha avuto un ottimo inizio di campionato… ed oggi ha dimostrato che le partite non si vincono solo con la bravura e la forza “straripante”, ma anche con la fortuna, la capacità di sentirsi parte di un gruppo e di credere di potersi aiutare, anche, direi soprattutto, nei momenti di difficoltà.
A tal proposito, ricordo che questa estate durante il ritiro qualcuno aveva ironizzato sul fatto che l’allenatore Rudi Garcia avesse portato il gruppo a fare rafting perché il suo desiderio, anche attraverso una cosa così diversa dal solito allenamento, era quello di trasmettere il senso di “squadra” per sentirsi sulla stessa barca. Be’, mi sembra invece che questi metodi, che peraltro sono tratti dalla formazione esperienziale, siano fondamentali come “potenza della metafora” nella costruzione e nella gestione di un gruppo e nella trasmissioni di un concetto fondamentale, nello sport come nella vita, la capacità di collaborare. Forse è questo il nostro problema maggiore, sempre pronti a ragionare in termini di “io” e poco inclini a parlare di “noi”… ma quando questo piccolo-grande miracolo accade i risultati possono essere sotto gli occhi di tutti…
Stefano Cera
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