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di Giovanni Reho – Dopo la prima ondata abbiamo dimenticato 36.000 vittime. Convinti che il virus fosse sconfitto abbiamo riacceso i motori partendo per le vacanze estive. Al grido di vittoria abbiamo riaperto la nostra vita con disinvolta libertà. Qualche spicciola regoluccia ma eravamo tranquilli, “il virus è morto” sentenziavano gli esperti.

Abbiamo purtroppo fatto il suo gioco, un imperdonabile regalo alla perfida specialità del virus, colpire alle spalle quando ci sentiamo stupidamente più forti.

Difficile negarlo se guardiamo i numeri. Abbiamo superato 30.000,00 contagi in un solo giorno, senza considerare un dato che in molti ignorano.

Nonostante il virus fosse dato per vinto, dal primo settembre sono morte quasi 3.000 persone. Chi ha la responsabilità di tante vite umane e chi ha la responsabilità di tutte le altre che verranno a mancare nei prossimi giorni?

Sarebbe importante invitare ciascuno a riflettere sul valore della propria vita e a darsi una risposta sul valore della vita altrui. Dobbiamo giungere sulla soglia della nostra vita in pericolo per capire quanto continuiamo a sottovalutare l’importanza della vita di chi l’ha perduta e di chi purtroppo potrà perderla a causa del virus?

L’invito è aperto a chi ha il potere di stabilire un piano di priorità rispetto al quale intervenire; ma è un invito aperto a tutti, ogni volta che abbiamo il dovere di riflettere e di stabilire la direzione delle nostre azioni.

Dobbiamo purtroppo concludere che i valori che realmente contano sono di fatto invertiti, alterati, manipolati. La vita umana è un po’ meno importante degli interessi personali, del potere, del successo, dell’economia e della finanza.

Ogni giorno di pandemia, il resoconto delle vittime dovrebbe essere motivo di lutto generale, eppure la notizia scorre come se nulla fosse. Siamo diventati così insensibili per non renderci conto che la notizia della morte altrui non è solo un fatto di cronaca?

Qualcuno si permette di confrontare le vittime degli ultimi due mesi con quelli del mese di marzo. Siamo purtroppo così cinici nell’aver smarrito la convinzione che la tutela di ogni singola vita umana è un valore assoluto ed irrinunciabile?

Forse è questo il cuore del problema. La vita umana è meno importante delle ragioni per le quali viviamo.

Quando l’ambiguità delle ragioni della nostra esistenza prevale sul valore della stessa vita, allora non mettiamo più a fuoco la gravità di quanto ci accade attorno, soprattutto se riguarda la vita altrui.

Un tempo, quando la società era più semplice, meno artefatta e per molti versi meno ‘civile’, ogni evento avverso, specie se previsto o prevedibile, veniva atteso con preparazione ossessiva senza lasciare nulla al caso con mezzi di gran lunga inferiori a quelli attuali. Le conseguenze dannose dell’evento non erano causa dell’impreparazione nell’attesa ma dalla scarsità dei mezzi per fronteggiare il nemico.

Oggi disponiamo di una infinità di mezzi che non siamo in grado di organizzare e pianificare per una serie di interferenze nelle decisioni cruciali che risentono dell’assenza di valori di riferimento e dell’incapacità di stabilire una vera scala di priorità.

Si oscilla da un lato e dall’altro del problema senza profondità di analisi e senza capacità di visione della migliore soluzione possibile. L’uno contro l’altro, sminuendo per principio anche gli aspetti importanti della posizione avversaria. Sono tutti i limiti per aver perduto il privilegio di una posizione neutrale al disopra del gioco delle parti, condizionata drasticamente da una pletora di interessi particolari che non facilitano la soluzione di ogni emergenza concreta.

Chi decide, al di là del colore e in ogni ambito e ampiezza, sembra sempre ‘tirato dalla giacca’ da qualcuno o da qualcosa; non appare mai completamente lucido e le sue decisioni, avallate da motivazioni studiacchiate, non sono mai del tutto convincenti. Manca un solido piano di priorità, prevale la brama di consenso e di potere ed impera il disordine delle idee, cioè il risultato più eloquente del disordine nei valori.

Se avessimo preservato il valore della vita nella sua accezione più rigorosa e impegnativa, avremmo saputo ereditare la saggezza del passato nel pianificare la difesa contro il nemico, con la forza dei nuovi mezzi di cui il progresso ci ha arricchito.

Non è un caso che in occasione della seconda ondata, dimenticate ingiustamente le vittime della scorsa primavera, stiamo dando prova di più profondo smarrimento e di più preoccupante incapacità nella gestione dell’emergenza.

L’autunno e l’inverno sono le stagioni più difficili nella gestione della pandemia, eppure non abbiamo preparato un vero piano per evitare altre vittime. Ancora oggi si brancola nel buio e si sperpera denaro e tempo nell’esame di aspetti marginali e non decisivi nella gestione del problema.

Se avessimo avuto idee chiare sulla priorità dei valori da difendere, anche alcune famigerate ‘sigle’ non sarebbero state terreno di scontro politico ma strumento di difesa della vita umana: 36 miliardi di euro per non dimenticare 36 mila vittime umane.

Gli anziani, i disabili, i malati cronici e i poveri pagano con la loro vita i ritardi nelle decisioni urgenti. Le generazioni del futuro avrebbero rimborsato il costo meritorio della difesa della vita delle minoranze vulnerabili di oggi ma non sarebbero state costrette a pagare lo sperpero di denaro che finisce nei rivoli infiniti della burocrazia di oggi e di domani.

Avevamo il dovere di impedire la perdita di altre vite umane, il dovere di aiutare la povertà a resistere, il dovere di sostenere concretamente le imprese costrette a fermarsi senza il timore di dover chiudere per sempre.

Avremmo dovuto impedire ai lavoratori di diventare i nuovi poveri. Aiutando chi avrebbe potuto dare di più, avremmo potuto aiutare meglio chi avrebbe continuato a perdere ancora di più. Alla conservazione dei posti di lavoro avremmo risposto annullando il peso fiscale per le imprese nella fase più critica dell’emergenza. Molte altre soluzioni sarebbero state possibili con una visione neutrale al di sopra del gioco delle parti. Tutto questo avrebbe evitato un nuovo lockdown che ora appare imminente.

Non avremmo consentito alla demagogia dell’istruzione, praticata secondo assurdi schemi tradizionali inadatti alla pandemia, di prevalere sulla cultura della tutela delle minoranze vulnerabili.

Abbiamo invece fatto il contrario di quello che dovevamo fare, come ha dimostrato il tema della scuola e dei trasporti, di cui stentiamo ancora a riconoscere il ruolo decisivo nella trasmissione del contagio.

Solo la difesa della vita umana può generare un serio richiamo alla solidarietà di tutti, che nessuna politica è in grado di ottenere con strumenti diversi. Chi invoca il rispetto della vita umana e la tutela delle minoranze vulnerabili impone soluzioni di civiltà e migliora la percezione di sicurezza di cui tutti abbiamo bisogno.

Quando si perdono di vista queste priorità essenziali non siamo più credibili e ogni altro obiettivo diventa più difficilmente perseguibile. Questa la ragione per la quale ogni politica, prima o poi, è destinata a perdere consenso e ad estinguersi.

Sui temi vitali di una società civile è indispensabile recuperare il valore della neutralità senza divisioni di campo, mentre il dibattito politico e lo scontro tra le diverse posizioni deve essere condotto sul terreno della competenza, della concretezza e della tempestività. Fattori decisivi poco considerati e, purtroppo ancora in questa drammatica emergenza, tristemente attuali.

Giovanni Reho

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