Silvia Grossi (nella foto), antropologa ed esponente del Partito Democratico, è in uscita a fine mese nelle librerie col suo nuovo saggio dal titolo “La strategia del gambero verde” (Primiceri Editore, Padova 2018), un’interessante dissertazione sul concetto di populismo ideologico, con l’introduzione di Pierfrancesco Majorino, assessore alle politiche sociali, salute e diritti del Comune di Milano. L’abbiamo incontrata per rivolgerle alcune domande sul tema del libro, sul periodo storico e politico che stiamo vivendo e sul futuro del centrosinistra.
Il tuo nuovo libro affronta il tema del populismo. Se tu dovessi spiegare in poche parole ai nostri lettori cosa è il populismo e perché è pericoloso cosa diresti?
Il populismo che oggi pervade la società italiana è fortemente ideologico. Non è un populismo di lotta e non è un populismo che scende in piazza per sovvertire il potere sovranista. E’ un “populismo senza popolo”, che nasce nelle stanze del potere di un Movimento, come i 5stelle, che lo hanno creato in vitro, per poterlo rivendere.
Ed è un populismo che poggia sull’ideologia di destra estrema alla quale la Lega ha strizzato l’occhio a lungo ed che ora lo veste di pulsioni razziste ed omofoba, costruendo categorie di alterità (i rom, i migranti, i gay) utili esclusivamente a fare da contraltare al proprio progetto politico, nel tentativo di legittimarlo.
Non è, dunque, una proposta populista che sorge dallo spirito critico della massa, nelle piazze, nelle associazioni, sostenuta nella comunità intellettuale e scientifica delle università e dei luoghi di confronto culturale, dove si ragiona e si decide di sollevare una politica antigovernativa.
E’ un populismo calato dall’alto, e come tale subìto ed introiettato senza una vera presa di coscienza collettiva. E, come tale, finisce per essere complice del mantenimento del potere stesso, peraltro di un potere che toglie la parola al popolo.
Cosa intendi per “decoscientizzazione”?
Nel mio saggio sono partita dalla Pedagogia degli Oppressi di Paulo Freire, da quella proposta di coscientizzare la società civile, di spronarla alla presa di coscienza, appunto, dei limiti operati dal potere da un lato e dalle molteplici potenzialità della società dall’altro.
Una diatriba tra Oppressi ed Oppressori che era generatrice di cultura e avviava dinamiche sociali e identitarie differenti, ma molto solide. Una diatriba che aveva l’ambizione di indicare il sostrato di violenza strutturale insito nel pensiero e nelle azioni del potere e ribaltarlo a favore di una proposta culturale popolare radicale e concreta.
L’esatto contrario di ciò che accade oggi, dove utilizzo un concetto di De-coscientizzazione per sollevare il velo sull’azione di decostruzione culturale operata da una certa parte politica, che sta utilizzando la società a scopo strumentale, levando ogni coscienza ed ogni spirito critico per annientare qualunque possibilità di comprensione della realtà.
E’ la politica della finzione, che insegna a disprezzare la Cultura e abbassa il livello di coscienza del proprio bacino elettorale, non avendo altro metodo che quello dell’ignoranza e della forza per il mantenimento sia della propria identità che della propria credibilità politica.
Quando il popolo non sa, quando non è cosciente, governare è più facile. Almeno a breve termine.
L’ondata populista sta attraversando il mondo, dagli USA all’Europa. La sconfitta della Sinistra in Italia era quindi annunciata oppure si poteva arginare in qualche modo il fenomeno e come?
Si tratta in ogni caso di populismi di differente natura anche se accomunati da una radice di destra. Il comune obiettivo di questi movimenti non è quello, comunque, di dar voce agli Ultimi della Terra, ma al contrario di utilizzare le periferie emarginate per proporre al ceto sociale medio una politica dell’odio, nella quale il povero farà sempre la guerra al più povero e così via e, soprattutto, nella quale chi sta meglio possa sentirsi finalmente protagonista.
In Italia certamente la sconfitta era annunciata e certamente si poteva arginare il fenomeno, ma questo andava previsto con largo anticipo e facendo lo sforzo di comprendere la contemporaneità, cedendo una parte di struttura mentis ancora troppo ancorata alle categorie del passato. La Sinistra non ha saputo mantenere i propri valori e contenuti riadattandoli alla narrazione moderna, non ha saputo mettere davvero in gioco sé stessa per trovare le risposte a pulsioni sociali che ha avvertito come troppo estranee, perché frutto in effetti di quella decostruzione culturale che la Destra stava operando scientificamente nella società. Ha atteso troppo e, quando ha compreso, si è frammentata. Può farcela di nuovo, però, proprio perché, come si è detto, l’onda nera di questo populismo non nasce nell’attivismo popolare, ma lì giunge, calato dalla politica del potere della Lega e del M5s. E non è un dato da sottovalutare, perché significa che c’è spazio nella società civile, dove prima o poi lo spirito critico si riformerà ed espellerà un progetto populista che è altro da sé. Certamente il primo obiettivo della Sinistra dovrà essere la rieducazione della società, una responsabilità che la Sinistra, come comunità di sapere e saperi, è chiamata a prendersi.
Un’alleanza PD-M5S avrebbe potuto rallentare la corsa del “gambero verde”?
Avrebbe certamente scritto una storia completamente diversa. Questo perché le identità sono frutto di un processo dinamico, in costante divenire, e si basano non soltanto sulla storia e sulle radici, ma su ciò che accade nel presente. Fin qui, la verità scientifica.
Ma non sono di quelli che se lo sarebbero augurato. Perché non credo che sarebbe stato la soluzione per risolvere un’epoca che guarda a Destra.
Avrei certamente preferito che ci si fosse seduti al tavolo del confronto. Se non altro per scoperchiare una parte del vaso del populismo ideologico e poterne additare gli errori e la pericolosità soggiacente, oltre che per esercitare la propria identità politica e raccontare, rappresentandola, l’alternativa.
Ma il Pd deve pensare a sé e alle responsabilità di una ricostruzione che deve avvenire in maniera seria e netta e non è governando con i 5stelle che avrebbe trovato nuova linfa vitale. Tutt’altro.
Da dove riparte, se riparte, il PD?
A ripartire deve essere un grande progetto di centrosinistra allargato, ampio e dialogante con la società civile. La responsabilità del PD di essere capofila di questa scommessa è evidente ma deve passare attraverso la ricostruzione identitaria della sua comunità politica interna. Non è momento di appiattirsi sui personalismi e sui leaderismi, ma soprattutto non è più il momento di limitarsi alla difesa del potere dei grandi e piccoli potentati che lo hanno governato sino ad ora e che hanno deciso le sue sorti sui territori. Al Pd oggi serve il coraggio di guardare la società con le categorie del presente, conservando le radici oltre le nostalgie e proiettandosi verso un futuro in grado di trovare risposte molto più radicali.
Per saperne di più sul saggio di Silvia Grossi è possibile consultare la scheda sul sito dell’editore all’indirizzo:
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