L’avvocato Giovanni Reho (nella foto), autore del recentissimo volume “Il nuovo assegno di divorzio” (Primiceri Editore, Padova 2018) ci spiega tutte le novità introdotte dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 18287 del 2018 in materia di assegno divorzile.

La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 18287 del 2018 ha introdotto delle novità in materia di assegno divorzile a cui Lei ha rivolto la propria riflessione nell’ambito del Suo libro “Il nuovo assegno di divorzio” (Primiceri Editore, Padova 2018) . Quali sono i criteri attributivi e determinativi dell’assegno divorzile che emergono dalla suddetta sentenza?

La sentenza delle Sezioni Unite ha il merito di riconoscere l’importante ruolo svolto dal coniuge all’interno della famiglia e di considerarlo come elemento qualificante per l’attribuzione e la determinazione dell’assegno di divorzio. Si tratta della cd. “funzione compensativa” dell’assegno, già approfondita dalla giurisprudenza nel regime giuridico originario dell’art. 5 della legge 898/70. Per la corretta comprensione del significato, della natura e della portata applicativa della funzione compensativa dell’assegno di divorzio, si è voluto nel libro recuperare l’esperienza giurisprudenziale a partire dagli anni ’70, la quale tuttora, per certi versi, può essere di supporto nell’applicazione del profilo compensativo dell’assegno di divorzio.

Quali sono i punti salienti della sentenza delle Sezioni Unite con riferimento al “contributo familiare” del coniuge?

Per la prima volta, le Sezioni Unite hanno stabilito che il “contributo familiare” del coniuge deve essere valutato alla luce del cd. “profilo soggettivo” del coniuge e della famiglia di riferimento. Detto contributo deve essere “causale”, “trainante”, “personale” e deve rappresentare il risultato delle “decisioni comuni” dei coniugi. Ci riferiamo dunque ad elementi e requisiti che connotano le caratteristiche indispensabili del contributo familiare del coniuge, in assenza dei quali l’assegno (sotto il profilo compensativo) non è dovuto. Il libro esamina in modo approfondito ogni singolo requisito offrendo utili spunti interpretativi.

Con il Suo libro Lei ha elaborato il concetto di elemento “soggettivo”, “oggettivo” e “dinamico” della funzione compensativa. Può spiegarci di cosa si tratta?

La “buona fede” e l’”affidamento” con cui il coniuge ha contribuito alla costruzione del progetto familiare condiviso rappresentano la ragione “soggettiva” dell’attribuzione dell’assegno di divorzio in chiave compensativa. Il contributo effettivo svolto in favore del nucleo familiare nel suo complesso ovvero nei confronti dell’altro coniuge riguarda invece l’aspetto “oggettivo” della funzione compensativa dell’assegno.
L’elemento “dinamico” del criterio compensativo dell’assegno di divorzio attiene infine alle “aspettative” che i coniugi hanno coltivato in funzione della condivisione durevole (o definitiva) dell’intesa coniugale e del progetto ad essa sotteso. Devono considerarsi comprese nell’elemento “dinamico” anche le potenzialità economico-patrimoniali future del coniuge tenuto alla corresponsione dell’assegno, in quanto connesse o conseguenti al contributo familiare dell’altro coniuge nel corso della convivenza matrimoniale.

Con il nuovo orientamento giurisprudenziale, come viene invece valutato il profilo meramente assistenziale dell’assegno di divorzio?

Le Sezioni Unite hanno superato definitivamente il criterio del tenore di vita sperimentato durante il rapporto coniugale, riconoscendo tuttavia al coniuge che non sia in possesso di mezzi adeguati o non sia in grado di procurarseli a causa di particolari condizioni personali (salute, età) ovvero a causa di situazione oggettive (riferite ad esempio al mercato del lavoro), il diritto ad un assegno con funzione meramente assistenziale.
In questo caso, sul presupposto che vi sia un importante squilibrio tra la situazione economico-patrimoniale dei coniugi, l’assegno di divorzio deve garantire una vita dignitosa nel rispetto delle condizioni personali e sociali che avevano caratterizzato il rapporto matrimoniale. Non potrà dunque essere imposto un cambiamento radicale nella vita dell’ex coniuge, senza porsi il problema di tutela della dignità della persona, in relazione alla sua età ed alla durata del matrimonio, nel rispetto dei principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3 e 29 Cost. Il contesto familiare e sociale, nel quale la coppia ha vissuto il matrimonio, rappresenta quindi il “punto di arrivo” della decorsa esperienza coniugale e, sino a quando sarà necessaria la funzione assistenziale dell’assegno, anche il “punto di partenza” sulla cui base avviare il nuovo percorso di vita.
L’entità del contributo deve essere ‘tarato’ anche in relazione alle cd. “ragioni della decisione” e, quindi, alle cause che hanno provocato la frattura dell’unione coniugale. Non è pensabile, per evidenti problemi di compatibilità ai principi costituzionali di riferimento, che ad esempio l’adulterio, la violenza psichica e/o fisica ed ogni altro comportamento ai danni del coniuge (tenuto a corrispondere il contributo ovvero beneficiario dell’assegno) siano considerati fatti “neutri” ai fini determinativi della misura dell’assegno. Caso per caso, sarà dunque compito del giudice valutare la rilevanza e la gravità dei singoli comportamenti ai fini determinativi dell’assegno.

Lei, nel suo libro, ha ritenuto di stabilire un nesso tra assegno di divorzio e genitorialità. Considerata la novità di tale Suo contributo, ci può spiegare in che senso rileva il riferimento alla genitorialità?

Le Sezioni Unite hanno spesso richiamato il concetto ed il valore delle “decisioni comuni” e delle “scelte condivise” dei coniugi. Esse, in altri termini, sono in grado di condizionare il diritto all’assegno di divorzio secondo il profilo compensativo, determinandone l’attribuzione o la negazione. Ebbene, la letteratura giudiziaria documenta molti casi in cui, durante il matrimonio, ed ancor più durante la fase della separazione personale dei coniugi, la gestione genitoriale diventa appannaggio esclusivo del genitore convivente con i figli alla quale consegue l’esclusione, voluta e premeditata, totale o comunque incisiva, della possibilità per l’altro genitore di svolgere il proprio ruolo genitoriale in ogni ambito che riguardi la crescita e lo sviluppo dei figli.
In relazione ai tali possibili evoluzioni del rapporto coniugale, ipotizzare un assegno di natura “compensativa” varrebbe a violare i principi di fondo su cui fa leva il nuovo orientamento giurisprudenziale, sia dal punto di vista delle norme costituzionali che ordinarie di riferimento. Si può facilmente comprendere come, in tali condizioni, la previsione di un assegno compensativo assumerebbe un carattere ingiustamente “premiale” in favore del genitore responsabile di comportamenti che, escludendo l’altro genitore dalla vita dei figli, sono in contrasto con il diritto dei minori ad una bigenitorialità effettiva.

Nel suo libro, “Il nuovo assegno di divorzio”, Lei espone un’ampia analisi che apre scenari innovativi in materia per il futuro. Di che si tratta?

Il contributo familiare del coniuge è essenzialmente una “prestazione di lavoro” in ambito endofamiliare. Considerata la sua natura, essa non può che considerarsi – ingiustamente – la forma di lavoro più “debole” oggi esistente, priva di assistenza e degli elementi fondamentali che disciplinano ogni altra forma di lavoro.
Venuto meno il principio di gratuità della prestazione di lavoro in ambito familiare possono segnarsi al riguardo scenari interessanti a tutela di una forma di lavoro che ha anche una eminente funzione sociale.
Si consideri altresì che la giurisprudenza non ha reperito un ancoraggio normativo in grado di supportare la fase determinativa della misura dell’assegno di divorzio. Un possibile collegamento viene nel libro, per la prima volta, individuato nell’art. 230 bis del c.c. con riferimento al lavoro domestico nell’ambito dell’impresa familiare. Si tratta di una ipotesi di studio che può contribuire a segnare un passaggio (interpretativo ed applicativo) significativo per la tutela concreta ed effettiva del lavoro endofamiliare del coniuge.

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