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di Salvatore Primiceri – Il Filebo è uno degli ultimi dialoghi di Platone, e affronta un tema universale e sempre attuale: il vero bene della vita umana e, per estensione, la definizione della felicità. Il dialogo, ambientato in un luogo generico ma caratteristico dell’epoca come un ginnasio, ha per protagonisti Socrate, Filebo e Protarco, e sviluppa una complessa dialettica tra due concezioni apparentemente inconciliabili: il piacere, difeso da Filebo e Protarco, e l’intelligenza, sostenuta da Socrate.

Il bene della vita umana: piacere o intelligenza?

Fin dalle prime battute, Socrate propone che il vero bene per l’uomo non possa essere ridotto né al piacere né all’intelligenza, ma debba essere un misto delle due componenti. Questa impostazione prende le distanze sia dall’edonismo di Aristippo, fondato sul piacere come valore supremo, sia dalla tradizione intellettualistica dei Megarici e dei Cinici, per i quali il bene risiede unicamente nella conoscenza. Platone suggerisce così un approccio equilibrato, cercando una terza via che possa conciliare le due posizioni.

In questo dialogo, Platone si interroga su come l’intelligenza e il piacere contribuiscano alla vita buona, cercando di stabilire una gerarchia tra loro e di definire cosa si possa considerare “vero” e “falso” nel piacere e nella conoscenza. Il piacere non è negato come valore positivo, ma viene depurato dalle forme impure e irrazionali che ne possono derivare. Al contempo, l’intelligenza viene considerata un principio superiore, in grado di guidare e moderare i piaceri. Questa visione risponde alla necessità di evitare gli eccessi edonistici e allo stesso tempo le forme di rigidità morale o intellettuale.

La dialettica tra unità e molteplicità

La dialettica emerge come strumento essenziale per esplorare la natura del piacere e della conoscenza. Socrate sottolinea l’importanza di distinguere tra unità e molteplicità all’interno dei generi: il piacere e la conoscenza appaiono inizialmente come concetti unici, ma un’indagine più approfondita rivela che ciascuno contiene diverse specie e gradi. Questa distinzione permette di categorizzare i piaceri e le conoscenze, identificando quelli puri, capaci di avvicinarsi al bene, e quelli mescolati a elementi impuri che non portano una reale felicità.

Platone, attraverso la figura di Socrate, attribuisce alla dialettica il ruolo di investigare ogni concetto per definirne gli aspetti essenziali e distinguere ciò che è veramente buono da ciò che è solo apparentemente tale. In quest’ottica, il Filebo esplora anche la natura dell’errore e dell’illusione, cercando di determinare cosa renda un piacere “falso” o “impuro” e in che modo si possano avere conoscenze più o meno fondate sulla realtà.

L’illimitato e il limite

Platone introduce la distinzione tra “illimitato” e “limite”, dove l’illimitato rappresenta la continua ricerca del piacere, che è per sua natura inappagabile e senza misura. In contrasto, il limite rappresenta l’intelligenza e la capacità di moderare, ordinare e trovare la proporzione, elementi indispensabili per raggiungere il bene. Socrate suggerisce che il piacere appartiene alla categoria dell’illimitato, e per sua stessa natura non può essere la base del bene; infatti, il bene deve possedere una stabilità e una completezza intrinseche che l’illimitato non può garantire.

Il vero bene come misto di intelligenza e piacere

Il culmine della riflessione platonica è la teoria di un bene che è un “misto” regolato e ordinato di intelligenza e piacere. La vita buona, per Platone, non è priva di piaceri, ma essi devono essere armonizzati dall’intelligenza, che li rende adeguati e “veri”. Socrate invita a concepire una vita che sia modellata sul criterio della misura, della bellezza e della verità. La bellezza e la proporzione diventano qui criteri essenziali per il bene, che deve essere oggettivamente valido e non dipendente da percezioni soggettive o effimere.

In questa visione, Platone anticipa l’importanza dell’armonia interiore e della moderazione, e sottolinea il valore di quelle che chiama le “virtù medie”: temperanza, prudenza, e saviezza. Queste qualità contribuiscono alla stabilità psichica e alla serenità dell’anima, qualità che sono apprezzate dagli antichi Greci come essenziali per una vita virtuosa e felice. La moderazione diventa così la vera essenza della virtù, superando le tensioni tra i desideri edonistici e le esigenze intellettuali.

La gerarchia dei valori: verso il vero bene

La gerarchia di valori conclusiva, enunciata da Socrate, pone al primo posto la misura e la proporzione, quindi il bello, il giusto, e infine l’intelligenza. Il piacere, inteso nel senso più alto e vero, ha un posto inferiore in questa scala, poiché può contribuire al bene solo quando è guidato dall’intelligenza e quando si conforma ai criteri della misura e della verità. Platone, in questo modo, stabilisce una gerarchia in cui il bene è fondato sull’ordine e l’armonia, riservando al piacere un ruolo subordinato e regolato.

Con il Filebo, Platone si inserisce nel dibattito filosofico del suo tempo con una visione equilibrata e complessa del bene umano. La sua indagine non solo approfondisce il significato e le sfumature del piacere, ma analizza le modalità con cui la conoscenza può divenire un valore superiore. Il dialogo suggerisce che la vera felicità per l’uomo non è un’estasi momentanea o una sapienza sterile, ma un equilibrio sapientemente composto tra piacere e intelligenza, guidato dalla misura, dalla bellezza e dalla verità.

Salvatore Primiceri

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