(di Giuseppe La Rosa) Il Fondo monetario internazionale corregge ancora il tiro. Qualche mese fa era arrivata la retromarcia sulle politiche neoliberiste attuate negli ultimi 30 anni, con tanto di riconoscimento ufficiale dei disastri causati da quest’ultime in termini di diseguaglianze e di stagnazione economica.
Adesso, dopo più di quindici anni di dati e stime sui presunti vantaggi generati dall’adesione all’euro per i Paesi europei, dal Fondo giunge un’ulteriore stoccata sulle difficoltà e gli squilibri finanziari causati dalla moneta unica. I dati arrivano direttamente da uno studio ufficiale dell’Fmi, l’External Sector Report relativo al 2016. Un documento che evidenzia quale dovrebbe essere il valore dell’euro, se questo fosse conforme alle effettive caratteristiche di ogni paese dell’Eurozona.
I risultati non lasciano spazio a dubbi. Mentre per la Germania, l’euro è sottovalutato per circa il 15% rispetto alla sua economia, per l’Italia l’euro è sopravvalutato per più del 5%. In altre parole, la Germania approfitta della debolezza dell’euro per falsare la concorrenza, danneggiando gli altri Paesi. Tutto ciò genera squilibri che portano i tedeschi ad avere un enorme surplus commerciale (superiore all’8%), ovvero un enorme avanzo delle esportazioni rispetto alle importazioni.
Ma, guardando agli altri paesi della zona euro la situazione non cambia. Per la Francia il tasso di cambio attuale dell’euro è superiore di circa il 6% rispetto a quello che dovrebbe essere per risultare adatto alle sue caratteristiche economiche. Anche per la Spagna lo studio segnala che l’euro è sopravvalutato per oltre il 6%.
L’Fmi ha ipotizzato le variazioni dei tassi di cambio necessarie per riequilibrare la bilancia dei pagamenti, cioè quel documento che registra le transazioni tra i Paesi, in cui risultano Paesi in deficit e Paesi in surplus. Sarebbe necessaria una svalutazione per chi è in deficit e, viceversa, una rivalutazione per chi è in surplus. In particolare, se il nostro Paese tornasse alla Lira avrebbe bisogno di una svalutazione per più del 20% per riequilibrare i conti rispetto alla Germania.
Recentemente, l’Ifo, uno dei di analisi economica più importanti della Germania, ha pubblicato le sue previsioni sulle partite correnti (una componente fondamentale della bilancia dei pagamenti). I dati segnalano che nel 2016 grazie all’incremento delle esportazioni, il surplus commerciale tedesco sfonderà il tetto dei 310 miliardi di dollari (pari all’8,5% del Pil), superando addirittura il Paese numero uno per l’export e per surplus, la Cina.
La presenza di un surplus così elevato porta la Germania a sottrarre ricchezza agli altri paesi, in particolare alle economie del Sud che si ritrovano a fronteggiare una fase di stagnazione che molti Stati nell’Europa meridionale stanno vivendo.
Per di più, secondo il Patto di stabilità, un Paese che per più di tre anni ha un surplus positivo fra esportazioni e importazioni (saldo delle partite correnti) oltre il 6% del Pil, dovrebbe essere sanzionato per una somma pari allo 0,1% del Pil. Tali regole, le quali mirano a scongiurare eventuali squilibri tra i Paesi membri, non vengono seguite dai tedeschi che da più di otto anni mantengono un saldo ben oltre i margini.
Di fronte a questo quadro solo una moneta adeguata alle peculiarità di ciascun Paese potrebbe compensare il divario, non di certo l’imposizione di austerità a Grecia, Spagna o Italia. Invece, essendo impossibile svalutare, un altro modo seguito dai governi per acquisire maggiore competitività è quello di tagliare i salari svalutando il mercato del lavoro. Il che genera però una forte diminuzione del reddito disponibile delle famiglie, e automaticamente un calo dei consumi con la conseguenza di avere maggiore deflazione.
A ben vedere, infatti, uno degli ostacoli alla crescita economica è soprattutto dovuto alle scelte dei governi di restringere la politica di bilancio: cioè meno spesa e più tasse. Condizioni non sufficienti per rientrare dal debito pubblico che inesorabilmente continua a crescere a causa di tali politiche restrittive.
Dunque, al di là delle inefficienze strutturali e dei mali atavici in termini di produttività e competitività attribuiti spesso all’Italia, gli effetti degli squilibri valutari non cambiano: l’euro è uno degli elementi che sta contribuendo a distruggere la nostra economia.
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