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di Giovanni Reho – La Suprema Corte ha chiarito che la codatorialità nell’impresa di gruppo presuppone l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione economica complessiva cui appartiene il datore di lavoro formale, nonché la condivisione della prestazione, al fine di soddisfare l’interesse di gruppo, da parte delle diverse società che esercitano i tipici poteri datoriali e diventano datori di lavoro sostanziali, secondo le regole generali di imputazione del rapporto all’effettivo utilizzatore della prestazione (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro n. 276 del 2019).

In una causa promossa da un dirigente, il Tribunale di Milano, Sezione Lavoro con la sentenza 27 settembre 2024 ha confermato che tra i vari indici con natura dirimente deve essere considerato quello relativo all’utilizzazione promiscua della forza lavoro da parte delle diverse società del gruppo, cosicché possano essere considerate coodatrici di lavoro del medesimo lavoratore, secondo lo schema dell’obbligazione soggettivamente complessa.

Nel caso di specie, è stato accertato che il dirigente aveva prestato la propria opera contemporaneamente in favore di più datori di lavoro, senza possibilità di distinguere se nell’interesse dell’uno o dell’altro. E’ stato altresì provato l’esercizio simultaneo dei poteri datoriali delle società convenute, le quali diventano pertanto datori di lavoro sostanziali.

Sulla base di queste premesse, in ragione del principio della cd. codatorialità, il dirigente è stato riconosciuto dipendente non solo del datore di lavoro formale ma anche della società capogruppo.

Di rilievo nel caso di specie che le conseguenze del licenziamento sono state estese alla società capogruppo anche senza una previa impugnazione del licenziamento stragiudiziale nei suoi confronti.

Giovanni Reho, rehoandpartners

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