di Giovanni Reho e Giancarlo Sigona – L’art. 12 del decreto legislativo n. 124 del 2004 prevede: “qualora nell’ambito dell’attività di vigilanza emergano inosservanze alla disciplina contrattuale da cui scaturiscano crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro, il personale ispettivo delle Direzioni del lavoro diffida il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultati dagli accertamenti”.
Il Ministero del lavoro ha chiarito che il potere di emettere provvedimenti di diffida può essere esercitato “valutate le circostanze del caso, secondo un prudente apprezzamento dei risultati dell’indagine e degli elementi obiettivi acquisiti” (Ministero del lavoro e delle politiche sociali, circolare n. 24 del 24 giugno 2004).
In altri termini, l’ispettore può promuovere una diffida in tutte le ipotesi in cui abbia acquisito elementi obiettivi certi e idonei alla determinazione del calcolo delle spettanze patrimoniali. Sottolinea infatti il Ministero del lavoro che l’accertamento si deve fondare su presupposti oggettivi e predeterminati che non richiedono complessi approfondimenti in ordine alla verifica dell’effettivo raggiungimento o meno dei risultati dell’attività (cfr. circolare citata).
La necessità di indicare e chiarire gli ambiti e i limiti della diffida accertativa deriva dalla disposizione normativa che prevede il potere del Direttore della Direzione Provinciale del Lavoro (oggi Ispettorato territoriale del lavoro) di conferire al provvedimento accertativo valore di “accertamento tecnico con efficacia di titolo esecutivo”.
Ne consegue che la diffida accertativa deve essere annoverata tra gli “atti ai quali la legge attribuisce efficacia di titolo esecutivo” sulla base del quale può aver luogo l’esecuzione forzata ai sensi dell’art. 474 c.p.c.
Con la diffida accertativa, validata dal Direttore dell’Ispettorato competente, il lavoratore potrà dunque agire con atto di precetto nei confronti del datore di lavoro e fondare le proprie pretese creditorie su un provvedimento amministrativo cui la legge riconosce natura di titolo immediatamente esecutivo.
La particolarità della materia e le conseguenze che possono derivare per il datore di lavoro, suggeriscono di approfondire il significato delle espressioni “diffida accertativa”, “credito patrimoniale” e “accertamento tecnico” previste dall’art. 12 del decreto legislativo n. 124/2004 da correlarsi con il contenuto dell’art. 474 c.p.c., in particolare con l’espressione “titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile”.
Come recentemente confermato dalla giurisprudenza di merito [1], la lettura combinata di queste due norme induce a ritenere che i crediti che possono costituire oggetto di diffida accertativa siano solo quelli che abbiano il carattere della liquidità e della esigibilità e che vengano resi certi attraverso l’accertamento effettuato dall’ispettore.
Non potranno dunque formare oggetto di diffida accertativa, i crediti che sorgono sul presupposto di un’attività discrezionale che implica da parte dell’Ispettore la necessità di accertamenti e valutazioni di certa complessità e quindi impongano una serie gradata di fasi valutative.
Una conferma proviene dal dato testuale della norma, nella parte in cui prevede che quando il datore di lavoro non ottempera a quanto previsto nel provvedimento di diffida e non si attiva per una eventuale procedura di conciliazione, il provvedimento accertativo acquista valore di “accertamento tecnico con efficacia di titolo esecutivo”.
Secondo il consolidato orientamento della dottrina e della giurisprudenza, un accertamento tecnico adottabile dal giudice (in questo caso, dall’autorità amministrativa) è tale solo quando sia verificabile sulla scorta di conoscenze scientifiche e tecniche consolidate e sulla base di criteri tratti dalle scienze esatte, senza che residuino margini di valutazione e di opinabilità. Si tratta invece di mera discrezionalità tecnica quando l’amministrazione, sulla base dei fatti e dalle circostanze accertate, può trarre conclusioni suscettibili di apprezzamenti non univoci e per l’appunto discrezionali.
La distinzione tra accertamento tecnico in senso stretto e cd. discrezionalità tecnica induce a affermare che il provvedimento di diffida dell’Ispettore del lavoro non possa derivare da apprezzamenti e valutazioni di certa complessità tecnica ma esclusivamente sulla base di circostanze certe e obiettive, alle quali lo stesso Ispettore dovrà conformarsi senza ulteriore discernimento discrezionale.
Quando gli elementi appresi nel corso dell’accertamento sono riconducibili ad un criterio matematico e/o contabile che consente la quantificazione certa del credito patrimoniale del lavoratore sarà possibile adottare il provvedimento di diffida accertativa.
Si deve pertanto concludere che possono essere oggetto di diffida accertativa soltanto i compensi maturati e non percepiti nel corso del rapporto di lavoro nel rispetto dei vari titoli possibili: retribuzione, lavoro straordinario, premio o altra indennità dovuti e non corrisposti nel corso del rapporto di lavoro ovvero al momento della cessazione del rapporto di lavoro, quali l’indennità del preavviso e il trattamento di fine rapporto.
Sono invece esclusi i crediti che derivano da una diversa qualificazione del rapporto, dal diverso inquadramento contrattuale o dal riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato non regolarizzato. Si tratta infatti di ipotesi in cui prevale la discrezionalità tecnica dell’Ispettore sulla cui fondatezza non potrà essere pretermesso il potere accertativo e cognitivo del giudice.
Giovanni Reho, Giancarlo Sigona
[1] Tribunale di Bari, Sezione Lavoro, 15 settembre 2022
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