di Avv. Giovanni Reho e Avv. Laura Summo – Il conto cointestato è una scelta comune tra i coniugi per la necessità di gestire le spese familiari in maniera più semplice e pratica. Con un contributo spontaneo da parte di entrambi, i coniugi si assicurano una diretta amministrazione delle incombenze della famiglia, delle spese dei figli e della casa familiare.
I problemi possono sorgere al momento della separazione personale dei coniugi. Accade spesso infatti che un coniuge rivendichi il maggior apporto di denaro asserendo di aver maturato un credito, derivante dall’aver corrisposto e versato sul conto in comune somme superiori a quelle dell’altro coniuge.
Si esprime in merito una recente sentenza della Corte Suprema di Cassazione, Prima Sezione Civile, n. 28772/2023, sul ricorso di un coniuge che dichiarava di aver alimentato in via esclusiva il conto corrente cointestato e di essere unico titolare degli importi ivi versati, poiché la moglie aveva utilizzato il denaro per scopi estranei al mantenimento della famiglia, facendone uso indebito.
La sentenza in commento si uniforma ad un orientamento ormai consolidato, secondo cui le spese effettuate per i bisogni della famiglia e riconducibili al principio della solidarietà coniugale, in adempimento dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 c.c. non determinano alcun diritto al rimborso (Cass. 18749/2004; Cass. n. 10942/2015; Cass. n. 10927/2018).
Non rileva se una parte impiega più risorse economiche dell’altra per la collaborazione alle spese della famiglia. Secondo il menzionato principio di solidarietà, che vede entrambe le parti prodigarsi secondo le proprie possibilità per il sostentamento della famiglia, si presume che nessuno dei coniugi abbia l’aspettativa di maturare un credito nei confronti dell’altro.
Ad avviso della Corte di Cassazione, la cointestazione di un conto corrente tra i coniugi attribuisce agli stessi, ai sensi dell’art. 1854 c.c., la qualifica di creditori solidali e, dunque, fa presumere la contitolarità delle somme versate. È sempre salva la prova contraria gravante sulla parte che intende dedurre una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione e che potrà essere dimostrata anche attraverso presunzioni, purché gravi, precise e concordanti. Principio al quale, tuttavia, nell’ambito della famiglia conosce importanti deroghe.
Il principio della solidarietà coniugale è infatti motivo di importante protezione per l’ordinamento giuridico e familiare, in quanto tende a valorizzare l’obbligo di collaborazione, cooperazione e assistenza materiale e spirituale che costituisce uno dei doveri principali nascenti dall’unione matrimoniale. Considerare il maggiore o minore apporto di un coniuge all’interno della famiglia è contrario a qualunque principio di condivisione, amore e solidarietà nell’interesse delle persone, dei figli e della famiglia.
La conferma del principio nel recente ed attuale quadro sociale può apparire in stridente contrasto con la tendenza alla individualizzazione di ogni esperienza umana, personale e relazione. Per questa ragione la sentenza in commento si pone quale spunto di riflessione a garanzia dell’impegno coniugale nella importante e delicata fase di formazione e crescita del nucleo familiare, per la responsabile consapevolezza dei sacrifici reciproci della coppia che deve prevalere su ogni altro interesse personale ed individualistico.
Avv. Giovanni Reho – Avv. Laura Summo
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