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di Stefano Bassi – Abbiamo incontrato Lorenzo Merlo, autore del saggio “Sul fondo del barile. Crisi sociale e recupero del sé” (Primiceri Editore, Padova 2018), da poche settimane nelle librerie. Gli abbiamo rivolto qualche domanda sui diversi aspetti della sua analisi che spazia dal sociale alla politica, passando per la filosofia.

D – Prima di tutto cosa significano titolo e sottotitolo?

R – Sul fondo del barile allude alla nostra situazione sociale e spesso individuale. Una situazione dove tutti i cardini con i quali si era cresciuti e ai quali facevamo riferimento – in una parola, nella tradizione – si sono sciolti nell’acido del positivismo, del capitalismo, del consumismo, dell’opulenza, del neoliberismo. Sotto l’egida ormai divenuta sacra del business is business, ci si è permesso di tutto. E, per quanto non sia un processo avviato dall’uomo comune, la responsabilità non è solo delle élite. Tutti noi abbiamo quei valori fino a sostituirli alla solidarietà. Fino a considerare il bene comune come cosa secondaria agli interessi individualistici. Fino a ritenere la comunità un fatto secondario.

La globalizzazione ha fagocitato culture e tradizioni che distinguevano storie e geografie, biografie e valori, ora in estinzione e destinati al folklore. Tutto ciò ci ha portati sul fondo del barile, dove, è sottinteso, dobbiamo raschiare i residui di vitalità. Il cuore è stato consumato in nome del profitto über alles.

D – E il sottotitolo?

R – Crisi sociale, lo intendiamo, si riferisce a questi tempi, germinati negli anni 70 con le prime pretese di porre l’individuo al pari della comunità, istanze di un individualismo affermatosi nel decennio successivo. Quello dei grandi guadagni, della Milano da bere, dell’edonismo come nuova prospettiva con la quale misurare la propria autostima. In questa fase si è dissolta l’ultima dimensione solidaristica. Ciò che prima era caposaldo culturale della sinistra, è venuto meno, proprio a partire dalla sinistra stessa. Sempre più interessata ad evolvere le attenzioni all’individuo, invece che alle classi. Una scelta accompagnata da una pari seconda attenzione rivolta al futuro. Liberandosi della pelle popolare che portava dalla nascita, non ha avuto incertezze nell’indicare a coloro a cui si era sempre rivolto, direzioni politicamente, culturalmente, economicamente, psicologicamente opposte. Negli anni, in una parola, ha imbracciato la bandiera liberista e globalista, disinteressandosi delle categorie più basse della società. Il futuro che vedeva per i lavoratori sta ancora in una parola neoliberista appunto, flessibilità.

Gli anni successivi hanno visto un crescendo, favorito dalla caduta del Muro di Berlino, dalla fine dell’Unione sovietica. Tutti passi che il capitalismo ha saputo cavalcare per ribadire in noi che non c’erano alternative, differenti dal concepire le persone come merce.

Nel frattempo il consumismo, dopo aver riempito di beni l’occidente, dopo aver trovato nei paesi emergenti nuovi mercati e nuova vantaggiosa manodopera, si è visto a corto di prospettiva. Era il prodromo del neocapitalismo finanziario. I soldi non servivano più, l’economia reale non serviva più.

Nel 2008 la cosiddetta bolla finanziaria è scoppiata, lasciando a piedi milioni di persone, rischiando il fallimento di banche e paesi interi. Una fase estremamente costosa per gli strati inferiori della piramide sociale. Nonostante ci fossero elementi sufficienti per dedicarsi a cercare altre rotte sociali, nulla è stato fatto. Nel frattempo la situazione del clima, dell’ambiente, della crescita demografica mondiale, della salute, dell’istruzione, delle infrastrutture è andata precipitando. Ora ci si dedica a raschiare il barile da parte di tutti, istituzioni incluse.

Se i motori diesel, che da sempre ci avevano detto inquinavano meno dei benzina, sono improvvisamente andati fuori legge, non è certo per una sensibilità ambientale o della salute. È un escamotage per recuperare qualche denaro.

D – Manca la seconda parte del sottotitolo però.

R – Certo. Recuperò del sé riferisce di una possibilità, forse la sola, per un aggiornamento della rotta della motonave della storia. L’aggiornamento si rende necessario non solo per lo stato di crisi dal quale, a parte pezze e rattoppi, nessuno ha idea come uscirne, neppure utilizzando i mezzi classici. Ovvero quelle scelte ed azioni supportate dalla esiziale filosofia della crescita infinita. Ma anche perché, qualora dovessimo assistere ad una ripresa economica, questa avrebbe quale elemento di riferimento il profitto, quindi il consumo. Nessun aggiornamento di rotta potrà mai avvenire utilizzando il comandante che ci ha portato nel campo dei problemi in cui ci troviamo. Nonostante ciò, è stillicidio quotidiano sentirsi ripetere termini quali sostenibilità, riduzione della disoccupazione dello 0,3 per cento rispetto al pari periodo dell’anno scorso, ripresa economica. Lasciar pilotare ancora in quella direzione che sostanzialmente concepisce l’uomo ridotto a economia e che pensa di essere nel giusto in quanto procede – seppur a tentoni – impugnando la torcia del razionalismo, non potrà che allungare l’agonia nostra e del pianeta. Non potrà che fornire alle prossime generazioni un mondo ulteriormente critico e sommerso d’incertezze.

Per cambiare rotta può invece essere utile lavorare per resettare la concezione che abbiamo di noi stessi. Da individui schiacciati, ridotti appunto, da valori e modelli misurabili, economici, tecnologici, scientifici, a liberi e creatori. Perno del giro di boa è la responsabilità. Se prima veniva conferita ad altri, politici o istituzioni, ora va assunta in toto. Ciò comporta che la realtà che abbiamo non ha più il potere di abbatterci o esaltarci. Comporta saper riconoscere il qui ed ora, affinché le migliori risorse creative e di forza, possano esprimersi in noi vitanaturaldurante. Affinché ciò possa avvenire è necessaria un’evoluzione personale. Strada nella quale scopriremo le zone d’ombra di noi stessi, scopriremo come illuminarle in quanto sola modalità per ridurre o eliminare la sofferenza. Questo è recupero del sé. Riconoscere le caratteristiche autentiche di noi stessi, dopo averle spogliate dagli orpelli culturali nei quali ci eravamo inconsapevolmente identificati. Per mezzo dei quali avevamo preferito il benefit alla meraviglia della vita.

D – Parli di diversi aspetti interessanti ma solo la questione dell’evoluzione, per molti è un muro senza appigli.

R – Per tutti lo è, prima di avviarsi a coltivare le abilità necessarie a scalarlo. Intanto è da fare presente che il mondo che ci siamo trovati venendo al mondo non era affatto il mondo in sé. Era ed è plastilina modulabile con le scelte degli uomini. Già questo è un aggiornamento che ad alcuni sfugge. Se poi dicono sia difficile o impossibile cambiarlo, certo capiamo a quale difficoltà alluda. Tuttavia un cambiamento, una evoluzione, sta anche nel linguaggio che impieghiamo per descrivere la realtà. Non usiamo il termine difficile, che fa riferimento ad un tempo a disposizione, quello della nostra vita, effettivamente limitato per vedere i risultati che vorremmo. Non usiamo più difficile, né impossibile. Cancelliamolo dal lessico e iniziamo a lavorare come se fossa cosa breve, pur temendo sia cosa lunga. Così facendo, certamente i risultati verranno. Era così che procedevano i nostri nonni quando guardando un pendio montano iniziavano mentalmente a vedere dove era meglio realizzare i terrazzamenti che ancora oggi vediamo, sebbene spesso abbandonati. In quello sguardo iniziale c’era già il terrazzamento compiuto, sebbene solo i loro figli nipoti e pronipoti l’avrebbero realmente toccato. Lo vedevano e si realizzava. A parte i montanari, così facciamo tutti anche nel 2018 per ogni azione dedicata alle nostre passioni, professionali e personali. Aggiornare la nostra concezione su ciò che possiamo o non possiamo ottenere corrisponde ad un rivoluzionario aggiornamento su noi stessi. Per questo si tratta di una rivoluzione sociale che ha sede soltanto entro l’individuo. Non solo, a causa del poco noto principio che l’esperienza non è trasmissibile, questo cambiamento che necessariamente implica l’affermazione del nuovo paradigma umanista, non è da impugnare secondo le logiche del proselitismo. Piuttosto del messaggio nella bottiglia, qualcuno all’altezza di intendere cosa si sta dicendo certamente ci sarà. Per tutti gli altri, insistere è cosa inopportuna. Verrà il loro tempo e il messaggio a loro adatto.

Dunque evolvere non significa aver capito tutto, ma semplicemente aver riconosciuto e valorizzato quelle parti umane di noi che il sistema ha scelto di occultare. Suggestionati da una narrazione della realtà in mano agli scientisti, ai positivisti, ai materialisti, siamo come bovi inconsapevoli della forza che abbiamo, della capacità magica che è in noi.

Per questo il libro si conclude con un riprendiamoci lo spirito creativo che abbiamo calpestato in nome di una collanina di lustrini, la stessa che i colonialisti utilizzavano per depredare terre e popoli. Proprio come ora.

D – Nel libro ho trovato un altro aspetto della tua ricerca che finora non è emerso. Si tratta di una sorta di riunificazione tra due discipline che l’epoca dei lumi aveva separato. Materia e spirito.

R – L’illuminismo ha valorizzato la nostra dimensione razionale. Ma la cultura che ne è scaturita ha volgarizzato quel nuovo momento umano. Ne è rimasto il concetto che ratione è verità. La scienza così come la conosciamo e tutti la impieghiamo è la verità. Tutti noi siamo indotti a credere che se un dato non è misurabile, allora non esiste. Un disastro da un punto di vista umanistico. Se possiamo trovare riscontro a questa materialistica lettura e affermazione del mondo nella fisica classica, detta appunto meccanicistica, con l’avvento poi della fisica quantica tende a perdere di consistenza. La novità sta che si è riscontrato che ciò che chiamiamo materia, a seconda delle circostanze essa perde i suoi connotati per assumere quelli di onde, di vibrazioni, di energia. Non solo. In altri esperimenti si è riscontrato che il comportamento di certe particelle varia in funzione dell’osservatore.

Da ciò si possono fare due considerazioni di rilievo culturale.

La prima è che la realtà non corrisponde che alla nostra descrizione, ovvero che l’osservatore non può mai osservare la realtà senza esserne coinvolto. Un fatto esplosivo se si considera che la fisica classica riteneva e ritiene esattamente il contrario.

La seconda considerazione è che ciò che la fisica quantica ha iniziato a vedere, corrisponde totalmente a quanto le tradizioni da sempre hanno affermato. Siamo, apparteniamo ad un solo corpo. Tutte le analisi che tendono a scomporlo in parti perdendo di vista la loro contiguità e la relazioni che le crea. Certe modalità di ricerca, analitiche appunto, se investite di essere le sole in grado di produrre conoscenza, non potranno che allontanarci dalla risoluzione di tutti i problemi. Che è in noi. Noi facciamo la realtà. La realtà in sé non esiste, come non esistono le doti che crediamo delle cose finché non prendiamo coscienza di essere stati noi ad attribuirgliele. Da qui il sincretismo tra i due campi di ricerca proposto nel libro. Un fatto forse unico nell’attuale panorama letterario italiano.

Stefano Bassi

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