di Salvatore Primiceri – La scomparsa del papa emerito Benedetto XVI, avvenuta lo scorso 31 dicembre, ha inevitabilmente aperto il dibattito sulle caratteristiche del suo pontificato, dalla dottrina profusa alle gesta. In molti hanno ricordato tratti del suo carattere, la profondità dei suoi studi e le contraddizioni, apparenti o reali, del suo pensiero che si traduceva poi in parole e azioni.
In nessuno dei commenti letti o ascoltati, però, mi è parso di scorgere un punto che secondo me ha sempre accompagnato la figura di Joseph Ratzinger, vale a dire l’aderenza del suo pensiero e del suo agire ad alcuni principi cardine del “nuovo stoicismo”, corrente filosofica di cui il filosofo romano Seneca è stato uno dei massimi interpreti.
Vorrei quindi azzardare, senza alcuna pretesa di verità, un confronto tra le due figure che, a mio avviso può in ogni caso risultare utile a comprendere meglio il valore di alcune scelte del papa emerito.
Innanzitutto va detto che Seneca non era un papa, ma ricopriva un ruolo pubblico come consigliere dell’imperatore Nerone. Il ruolo del papa è comunque anche un ruolo politico, quindi possiamo affermare che entrambi si sono ritrovati in una posizione di potere, seppur a distanza di oltre duemila anni uno dall’altro.
Ai tempi di Seneca il Cristianesimo non era ancora entrato ufficialmente in Roma e la filosofia era l’unico strumento di riflessione circa le grandi domande esistenziali dell’uomo. Seneca era un fine filosofo e studioso, così come lo è stato Ratzinger e sappiamo come gli scritti morali di Seneca anticipino diversi concetti della cristianità.
Qui troviamo una prima evidente analogia fra i due: entrambi erano convinti che l’azione politica si potesse mantenere su un livello di giustizia ed onestà grazie alla riflessione e alla predicazione filosofica. Però, né Seneca riuscì del tutto con i suoi insegnamenti a ripulire l’ambiente corrotto del potere imperiale romano e ad addolcire il carattere di Nerone, né Benedetto XVI è riuscito a ripulire del tutto quella che lui stesso definiva “la sporcizia nella Chiesa”. Nell’ardua impresa di ottenere un miglioramento morale dell’umanità attraverso la filosofia, è importante, tuttavia, mantenere coerenza e un animo sereno nel pensare e nell’agire. Ne “La tranquillità dell’animo”, Seneca spiega come sia centrale equilibrare gli impegni pubblici con lo studio e la riflessione se si vuole mantenere un animo sereno. Chi ha incontrato e conosciuto Benedetto XVI ci ricorda, in coro pressoché unanime, come il papa emerito emanasse una straordinaria sensazione di pace e serenità già con il solo sguardo unito ai modi gentili, nonostante le tante preoccupazioni che gli anni difficili del suo pontificato gli hanno riservato. Se è vero che l’animo si legge dagli occhi, allora possiamo affermare che il pontefice avesse trovato il modo di coniugare gli affanni e le preoccupazioni della vita pubblica e politica con la vita ritirata attraverso la contemplazione, i libri e la preghiera. Ciò rendeva il suo animo tranquillo.
Benedetto XVI era un uomo che sentiva quindi la necessità di non sprecare il proprio tempo e coltivarlo impiegandolo al meglio, tra vita attiva e vita ritirata, lontano da ogni vizio, rifugiandosi all’occorrenza in sé stesso, coltivando la sapienza e seguendo la ragione. “Il saggio muore in pace, gli indaffarati muoiono senza aver vissuto”, ci ricorda Seneca ne “La brevità della vita”. In questo passaggio c’è l’attesa della morte come un “appuntamento” (con il Signore per Ratzinger, con la Provvidenza per Seneca), senza paura, anzi con pacifica e felice attesa e senso di affidamento.
La saggezza è un elemento che ricorre spesso nei discorsi commemorativi verso Benedetto XVI. Anche papa Francesco lo ha definito “un grande saggio” che infondeva tranquillità e dispensava preziosi consigli. La pace e la serenità dell’animo di Joseph Ratzinger, scambiata talvolta per freddezza e distacco, non sono altro che il risultato della “Fermezza del saggio” che Seneca ci ricorda nel suo omonimo dialogo morale. Il saggio diventa tale e raggiunge l’imperturbabilità dell’animo grazie alla fede accompagnata dalla ragione, guidata dalla Provvidenza. Capire profondamente la natura umana ci permette di accettarla e affidarci alle sue volontà senza timore. Questo concetto, fortissimo nel testo “La Provvidenza” di Seneca è anche un caposaldo della dottrina su fede e ragione di Benedetto XVI.
Veniamo ora al fatidico momento per cui i commentatori di oggi definiscono, non a torto, il passaggio che porterà Benedetto XVI nella storia e rivoluzionerà la Chiesa, ovvero la “rinuncia” al pontificato. Quella che viene erroneamente chiamata “rinuncia” è invece una precisa scelta, ponderata e decisa senza tralasciare alcun aspetto, etico e pratico. Si tratta della “scelta alla vita ritirata“, ben spiegata da Seneca nel “De Otium”. Seneca ci dice che ogni fase della propria vita deve essere vissuta con occhi nuovi e nuove attività. Continuare ad affannarsi in molte faccende, soprattutto nei pubblici affari, non è più utile se non si è accompagnati dalle forze fisiche e dalla propria serenità d’animo. Se viene a mancare l’equilibrio tra vita attiva e vita ritirata, sarà allora molto più utile, per sé stessi e per la propria comunità, dedicarsi alla meditazione e alla contemplazione (nel caso di Ratzinger anche alla preghiera). Si tratta di attività per nulla statiche, anzi; per Seneca si può essere molto più attivi e partecipi alla vita e al miglioramento della società lavorando da una posizione “silenziosa” ma estremamente efficace nelle sue caratteristiche di profusione di sapienti consigli e serenità. Sono tutti concordi, del resto, che Benedetto XVI abbia continuato a servire al meglio la Chiesa da tale posizione, donando agli altri e allo stesso Francesco, sicurezza e saggezza. L’elemento che aggiunge valore alle caratteristiche di un uomo saggio, è per Seneca, quello di sapersi spogliare soprattutto dai ruoli di potere (di cui gli uomini sono solitamente avidi), rimanendo coerenti con la propria azione virtuosa e in conformità con la Provvidenza, evitando così il rischio di corrompere la propria anima in un ambiente divenuto insostenibile per chi si lascia guidare da fede e ragione.
Infine, un cenno all’uomo. Una delle critiche che vennero mosse a Seneca era quella del predicare bene ma di non riuscire in vita ad essere sempre perfettamente aderente ai suoi stessi principi. Benedetto XVI, nel chiedere scusa per le sue debolezze e i suoi errori, riconosce di non essere sempre stato all’altezza dei suoi compiti ma, anche qui, assume un atteggiamento “stoico“, in pace con sé stesso. Seneca, del resto, ne “La vita felice”, ci ricorda che la via verso la saggezza non è esente da errori, essendo tutti noi esseri umani fallibili. Ciò che conta, per Seneca, è il fatto di impegnarsi ogni giorno, con tutte le proprie forze, in un esercizio di costante miglioramento di sé stessi e di continua ricerca della virtù, unico elemento che ci aprirà la porta della vera felicità e della libertà.
In conclusione, al netto dei limiti dell’essere umano, per entrambi i filosofi (Seneca e Benedetto XVI), il punto fondamentale era il credere. La fede di entrambi era autentica e non lasciava spazio a fraintendimenti, né a dubbio alcuno. Questo permetteva loro di osservare il mondo non con distacco, ma con un inconsueto senso di pace.
Salvatore Primiceri
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